Dal songwriter
Neal Casal accasatosi alla corte dei discepoli di
Ryan Adams, i
The Cardinals, intorno all’anno 2000, si poteva pretendere qualche cosa in più da quest’ultima fatica
Roots & Wings ma se pensiamo all’esito deludente del poppettino scialbo di Cardinology, si può chiudere un’occhio perché poteva andare anche molto peggio. Registrato nello stesso periodo di quest’ultimo, la sua scrittura folk-pop malinconica si illumina a tratti restituendo piccole perle elettro-acustiche che si perdono nella lungaggine complessiva dei sedici brani che compongono Roots & Wings. Fosse stato di una decina di brani parleremmo di tutt’altra cosa. La voce resta sempre bella, gira intorno a Neil Young e Gram Parsons, quando cattura l’attenzione in quelle sporadiche parentesi sembra di riascoltare brani dei bei tempi passati.
La piacevole
The Losing end Again ha un giro acustico ammaliante, ideale per far scivolare il tono dolce della sua voce e
Roots & Wings inizia bene, con quei solchi anni ’70 che restano ancora ancorati nel suo scrivere e suonare, e
Back to Haunt You sembra confermare la premessa con la sua linearità fatta di bei riff assestati al momento giusto. Ma
Signals fading mostra dei cedimenti strutturali, coretti e tonalità melense e poco incisive che continuano in
Traveling Lighter troppo scialba per un refrain che meritava maggior supporto. Solo
Tomorrow’s Sky porta con sé una chiara identità, quella del vero
Neal Casal del mandolino di
A year & a day, della pianistica
Cold Waves e quella perla di
The Cold & The Darkness. Peccato che il resto non sia allo stesso livello: da
So far astray, ad
Hereby the Sea,
Keep the peace,
Don’t mind the black clouds.
I tratti acustici di
Turn for the Worse on e
Pray me Home calamitano l’ascolto e la fiammeggiante
Superhighway con tanto di armonica mette in piazza la sessione elettrica, ma troppo tardi perché
Closing her Ghost chiude
Roots & Wings e si resta un po’ con l’amaro in bocca, come oramai accade da un po’ di anni a questa parte con i dischi di
Neal Casal.