Quarto album in compagnia di Brendan O’Brien e
Bruce Springsteen riesce a farsi coinvolgere nella realizzazione del disco più brutto della sua gloriosa carriera.
Working On a Dream è stato registrato immediatamente dopo il discusso
Magic, che sebbene balbettante chiudeva dignitosamente un trittico politico legato alla grigia amministrazione Bush (resta una perla
The Rising). Così Bruce decide di prendersi una boccata di ossigeno dal clima cupo degli ultimi anni prendendo spunto da quelle canzoni scritte nel corso dell’ultimo disco ma non adatte a essere incise in quel periodo, così nasce in tutta fretta
Working on a Dream e non l’avesse mai fatto…
Il rock lo lascia in soffitta e il pop entra dalla porta principale a snaturare la E-Street Band, lasciandola in un angolo ed è proprio Bruce a tarpargli le ali con quella mistura di suoni, alle tracce soul infarcite di stucchevoli coretti mentre dall’altra continua (seppur a tratti) a scrivere come i bei tempi. Proprio quello fa incavolare, la passione e il fuoco -di alcune liriche- sono sempre dentro di lui basta prendere la narrativa dell’epica
Outlaw Pete in apertura con in suoi otto minuti e la ghost-track
The Wrestler, scritta in perfetta sintonia con la struggente interpretazione di Mickey Rourke, in cui si sprigiona il lato folk di Bruce che meriterebbe a questo punto più spazio invece di dischi deludenti come
Working on A Dream.
Quindi se le prime canzoni mostrano qualche segno di vita, anche
My Lucky Day sempliciotta ma molto gradevole con un sax che carbura come i bei tempi, alla title-track una ballata che Bruce sforna con estrema semplicità, ed è proprio quest'ultima a donarle grazia (allo show del superbowl il coro era forse un po’ esagerato non solo come numero di presenze). Poi il disco inizia a crollare!!!
Queen of the Supermarket sembra ripescata da una brutta copia di Tracks ma tra coretti, parole e suoni zuccherosi perde consistenza, non parliamo di
What Love Can Do, che se girasse su vinile romperebbe la puntina del mio stereo di colpo (solo perchè legato ai ricordi di ore e ore di pomeriggi con The River & soci), l’attacco di
This Life è da censurare mentre sul resto caliamo un velo pietoso.
Good Eye non si sa cosa ci faccia lì in mezzo, virata bluesy che Bruce interpreta con trasporto (sempre quei coretti fastidiosi di cui non si riesce a farsene una ragione di esistere), ma magari avesse fatto un disco tutto bluesy l’avrei apprezzato di più.
Tomorrow Never Knows è elettro-acustica, ma non mostra segni di vita,
Life Itself altro brano da vietare a chi ama il vero Bruce, poi
Kingdom of Days e zitti zitti che forse qualcosa si riesce a salvare! No.
Surprise, Surprise che ripete di continuo è avvilente fino alla conclusione acustica di
The Last Carnival, che incredibilmente riesce a rovinare nel finale. Eppure non si può che sorridere alla fine dell'ascolto di
Working on a Dream. Il perché è semplice: sul palco, a casa di Bruce, molte di loro non saliranno mai…