WACO BROTHERS (Live and Kickin’ at Schubas Tavern, Chicago)
Discografia border=parole del Pelle

       

  Recensione del  01/02/2009
    

Ecco finalmente un disco dei Waco Brothers che si riesce ad ascoltare dall’inizio alla fine! Non dipende certo da loro, ma non sono mai stati in grado di realizzare un intero disco senza perdersi in motivetti e suoni strampalati rovinando quel clima country di fondo che affondava nel cow-punk e nel rock’n’roll. Sarà l’aria inglese che continua da sempre a stazionare sulla band ma il clima da Sabato sera che si sprigiona dall’ascolto di quest’ultimo Waco Express: Live & Kickin' at Schubas Tavern, Chicago è tutt’altra cosa.
16 canzoni + una rilettura di Revolution Blue’s di Neil Young e via a riascoltare i loro successi (perché di belle canzoni ne hanno scritte) ridotte all’osso: chitarre e tanta energia grazie al contributo di due membri della British Punk Band dei Mekons (il chitarrista e fondatore del gruppo, Jon Langford e il batterista Steve Goulding) che raddoppiano le presenze in terra britannica con il mandolino di Tracey Dear e il bassista Alan Doughty, per chiudere a Milwaukee con le chitarre di Dean Schlabowske e Mark Durante. Aria di festa a ripercorrere tredici anni di carriera e 8 album: dal primo disco del ‘95 To The Last Dead Cowboy ben quattro canzoni, cinque da Cowboy in Flames e un paio da Waco World, Electric Waco Chair, New Deal e Freedom and Weep. Suono solido, molto country con la steel guitar a recitare il ruolo di padrone di casa con la sezione ritmica quanto mai in salute e sembra davvero di essere ospite di una road-house in giro per il Texas.
Il disco parte con l’honky tonk torbido, tutto chitarre di Waco Express con una deliziosa pedal steel, degno passaggio in territorio british con Blink of An Eye e con l’alcolica e deliziosa Too Sweet to Die si capisce che la serata è di quelle da ricordare, con la band che sembra posseduta: si alza la voce nel country tosto di Red Brick Wall, il classico rock’n’roll di Cowboy In Flames dalle parti di Nashville ma spolverato alla grande, bel gioco chitarristico nella splendida Fox River e la gente apprezza, restituisce calore e voglia di continuare a divertirsi. Ecco che Langford apre un’altra perla della loro discografia con il cupo rockaccio-country di Hell’s Roof, una Do What I Say adatta ai festaggiamenti per il ritmo ballerino e scanzonato che si trascina dietro, Missing link altra scarica elettrica di spessore per allentare la presa solo con If You don’t Change Your Mind, una ballata sempre elettrica che porta indietro il calendario velocemente.
This song is about the death of country music,” dice Langford, introducenso Death Of Country Music, e aggiunge, “it’s something that we’ve been working towards over the years. I think with this album we will finally archieve it.” Un sentito ringraziamento a coloro che alimentano la fiamma della tradizione a scapito di coloro che vedono solo questioni di lucro… un brano di una bellezza particolare.
Difficile trovare smagliature anche verso la fine con la raggiante Nothing At All, il country a tinte grosse di Plenty Tough Union Made, i riff di Harm’s Way e naturalmente dietro tanta voglia di far baldoria c’è sempre un loro messaggio politico che non poteva certo mancare anche in questa serata a Chicago, scegliendo una cover quanto mai azzeccata, una Revolution Blues ipnotica, illuminata da preziosi virtuosismi alla chitarra lasciando la chiusura a Take Me to the Fires, dove i Waco Brothers ribadiscono che hanno ancora tanta birra in corpo. Serata magica, da incorniciare. Finalmente.