Sempre affascinato dalla Storia Americana, quella passionale ma poco romantica combattuta dagli Yankees e dai Dixies e proprio alla guerra di Secessione il nome di questa band di Portland prende ispirazione e linfa vitale per scrivere di
Braxton Bragg e della sua vita di ufficiale e comandante nella Guerra Civile, divenuto poi generale che combattè contro i Seminole e coi Messicani, un artigliere dalle idee innovative sul campo di battaglia ed uno dei più discussi nella lunga storia americana, affascinante nel suo totale senso di disagio.
L’idea musicale nasce nel 1995, anno fondamentale per il songwriting e le storie della band costruito intorno a rock, country e bottiglie di birra:
Braxton Bragg è il disco d’esordio di questi quattro bravi musicisti che auto-prodotti sfornano un dischetto bello pimpante e muscolare, con i fratelli McMullen che fanno baldoria ma oltre al suono contagioso che cattura immediatamente l’attenzione, gli affiancano alcune pagine di quella guerra, usano l’immaginazione, costruiscono una biografia del “generale incompetente” deliziosa e divertente (se è possibile inquadrare sotto questa luce i vani tentativi di farlo fuori e l’abilità del generale nell’uscirne senza graffi).
Suono corposo, chitarre nervose sin dalla sfuriata di
Walter Ego, assestano una bella scossa e mostrano i muscoli, ma come dimostra
Lonesome Road il sottofondo è pur sempre quello di una allegra combricola di ragazi che vogliono fare del divertimento l’essenza della loro musica, che resta coinvolgente, country e riff alla texana e un pizzico di folklore urbano come accennano in
Cherry Stem tanto per completare il quadro. Le birre rotolano in sottofondo nella bucolica reppresentazione di una strampalata post-sbronza che si avverte nello scioglilingue di una spiritosa
Ilikdilikir, corale e chitarristica come
Never Run And Hide, dove il suono è più tosto ma sempre godibilissimo.
Ballata rootsy splendida per
Coal Black Heart, dove il volume va aumentato quel tanto per trasmettere il buon umore alla marea di zombie che ci attorniano in silenzio…
Scars inzia sottotono ma poi la ballata elettrica prende corpo, riff convincenti bastano ad aggregarla al resto di Braxton Bragg, dove chiede spazio la rumorosa
Howl, un rockaccio bello corposo prima di chiudere in tutta scioltezza con la sempliciotta
Tragedy che ha dei bei guizzi chitarristici ben assestati, che sono l’anima invece della trascinante
Sweaty Things. Una bella festicciola che dura per l’intero corso del disco in cui onestamente il generale
Braxton Bragg si sarebbe trovato a suo agio. E noi con lui.