STEEPWATER BAND (Grace & Melody)
Discografia border=Pelle

             

  

  Recensione del  01/02/2009


    

Il suono sporco del blues, il lato grezzo del southern rock hanno contraddistinto la nascita e l’evoluzione della Steepwater Band, da Chicago un trio molto carismatico che ha lasciato nel corso degli anni ricordi indelebili a virtuosismi di chitarre fluide e arcigne, a mostrare i muscoli lungo jam senza fine (prendiamo l’ottimo Dharmakaya e Revelation Sunday). Sarà che in cabina di regia è salito Marc Ford dei Black Crowes –credo che si diverta, visto la crescita di dischi che lo vedono come produttore- il suono della band allarga gli orizzonti ed abbraccia un sound più fedele al rock degli anni settanta, al songwriting, a suoni corali e avvolgenti tra lo stridere delle chitarre che restano protagoniste e la loro identità di band scapestrata, fuori dagli schemi commerciali, resiste all’usura del tempo.
Insomma la produzione non poteva che portare con se una fetta del passato dei corvi, l’esuberanza di quel periodo e non è che sia un male per il disco l’evoluzione e l’ambientazione californiana di Grace & Melody, certo ci avevano abituati ad altre coreografie, ma il disco riesce a contagiare lungo un’oretta scarsa molto intensa.
A dire il vero nulla sembra mutato quando la voce di Jeff Massey e le note della sua chitarra si diffondono nell’apertura torbida di All the Fall of the Day il marchio di fabbrica degli Steepwater Band, ma il refreain lascia intravedere qualche tocco seventy intrigante che in All the Way to Nowhere balzano subito all’orecchio, ma poi il ritmo e così avvolgente che ne viene assorbito all’istante, il fascino delle galoppate chitarristiche è sempre lì dove te lo aspettavi, non credevi che tanta melodia potesse trapelare dal loro sound, questo sì! Come i corvi di Lord Knows che sembrano assistere in prima fila a questo deja-vu dei bei tempi, ma piacevole e assai colorito come l’ipnotica Healer, dove sembra di essere tornati a casa… squarci deliziosi a parentesi allucinogene un po’ stucchevoli.
Ma la meravigliosa Waiting to be offended taglia la testa al toro al nuovo corso: dura ben quattordici minuti questo vortice di sensazioni nostalgiche in cui la band la prende alla larga per girare come i vecchi tempi, liberi di spaziare con jam in punta di piedi deliziose a fondersi in un vortice di freschezza.
Il viaggio nel tempo continua con la sensuale Roadblock, una dolce One Way Ride dove addirittura compare una pregevole chitarra border fino alla danzerina Fire Away e alla più tosta title-track dove si annuncia che il finale è sì rivolto al passato ma a quello della Steepwater Band: la splendida VaRoomp! dove si torna a far indolenzire le dita sulla chitarra e in World Keeps Moving On altri sette minuti intriganti e magnetici. Il tempo passa, i suoni cambiano, ma il fascino di questo trio resta immutato.