TIM BARRY (Manchester)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  01/02/2009
    

Tim Barry è un nome familiare negli ambienti del punk-rock melodico, ha suonato per decenni con gli Avail un gruppo della Virginia pubblicando tra live e studio una decina di dischi. Ebbene durante quegli anni molti demos e testi buttati lì al caso hanno preso vita e hanno trovato la strada di uno studio di incisione, e Manchester è il risultato di tutto ciò.
Un album speciale, perché siamo in territori folk-roots, talmente oneste e vere da sembrare di ritrovarsi davanti un rodato songwriter che canta dell’America da decenni e decenni. 12 le canzoni sottoposte alla mani amiche di Lance Koehler e con strumentisti, ma soprattutto amici, che hanno trascorso in sua compagnia interminabili serate a suonare non certo nella tradizione folk di Manchester, ma il viaggio è lo stesso che lo porta dall’Arkansas a colorare la California con un tocco leggero, malinconico e autunnale.
Non dimentica il ritmo, anche se il violino, il mandolino e la pedal steel dettano i ritmi alle storie che tesse con una voce forte e incisiva perché sono pur sempre intrise di politica, della condizione dei paesi che posso permettersi tutto a scapito dei più deboli, e su questo la vena pessimistica dei suoi trascorsi è ancora viva e battagliera. Eccolo allora in On and On con una dolce tromba nelle retrovie oppure nella splendida 5 Twenty 5 dove lo stridere della chitarra accompagna i discorsi sull’economia, il clima, i salari a disegnare un paesaggio con poche speranze dove si preferisce dimenticare per non spezzare la routine quotidiana.
In This November canta in apertura "Fell this morning, fucked up this whole damn day" e la dice tutta sul suo pessimismo mentre un mandolino e il violino lo seguono nella sua incazzatura, nel senso di ribellione che urlava in apertura nella deliziosa e trascinante Texas Cops per continuare nel folk con punte country della brillante South Hill, dove solo l’esercito resta come unica salvezza per poter guadagnare qualche straccio di soldo.
Il mix mostra qualche sbavatura con l’agreste Sagacity Gone che alza il ritmo ma non l’originalità per poi ritagliarsi un’isola pianistica in Ronnie’s Song che stona parecchio se immediatamente dopo si torna a scorrazzare con i violini deliranti di uno sfavillante country-roots assai energico di C.R.F. (retired) o con i mandolini da festa sfrenata di Tile Work.
Se proprio il piano deve prendere parte al gioco allora lo si preferisce nel delicato e struggente lirismo di 222 per toccare i punti più alti della sua scrittura ‘poetica’ con la toccante ballata Tacoma, lasciando a Raised and Grown il compito di chiudere degnamente il Barry pensiero, Manchester e le sue storie.