PENDERGAST (Between the Bottle and the Pulpit)
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  Recensione del  22/04/2007
    

Pendergast. Questo nome porta in mente le gesta del gangster di Kansas City, al film di Robert Altman che ne narrava gli intrallazzi tra musica e politici corrotti, al jazz di quelle notti tenere che si scontra con il country e il rock che arriva dal Midwest nei giorni nostri, sempre di Pendergast si parla, e nei loro racconti troviamo ancora quelle storie di uomini, di donne, di notti e di amori che Tony Ladesich tra cambi di ritmo e incursioni rurali tiene a galla in Between the Bottle and the Pulpit.
Ci tengono a scuoterti in apertura e lo fanno con una More than Me che è come una bandiera da seguire per coloro che amano l’incontro del roots e il rock, brano splendido come il rock muscolare di Streets of Ours e il messaggio è chiaro: “I haunt the barroom to exorcise my mind/Five shots into a 10-shot drunk/That ol' heartbroken kind”. Almighty Dollar abbassa repentinamente il voltaggio, forse un po’ troppo, ma è segno di una svolta e poi non è così malvagia, certo la ruspante Well Enough Alone scorre decisamente meglio, ha luce propria, puro alt. Country e lì restiamo con il piano honky tonk di Cold Feet e la sfrenata Plus One, da dance hall non c’è dubbio. Certo KOA sembra un pesce fuor d’acqua, il duetto con la cantante folkie Kasey Rausch tutto sulla speranza che porta avanti un nuovo amore non decolla, per farlo c’è bisogno di Townes Van Zandt.
Il mito entra in gioco con una roboante versione di White Freighliner Blues, trascinante in tutti i sensi, nervosa e accattivante. Con Magic Hour si resta in Texas e quindi si sta bene… prima di staccare la spina agli strumenti per la slow-ballad Forty Five, il lato romantico dei Pendergast ma musicalmente non proprio originale anche se i testi sono forti, come dimostrano i demoni della splendida Morphine when i Die, ma siamo su altri voltaggi: sulla tragedia della morte, tra droghe e alcohol, niente patetismi con la speranza di trovare ancora posto al signore.
Gran canzone, le due facce dei veri Pendergast in un paio di minuti, tra quiete e tempesta la summa di Between the Bottle and the Pulpit. A chiudere l’altra cover, Fisherman’s Blues dei The Waterboys, una bella versione tutta rock e sudore e la conclusiva title-track, una rock-ballad tra peccato e salvezza, con la bibbia in una mano e il whiskey nell’altra. La grande salvezza passa anche da queste piccole cose…