BILL TOMS (Spirits, Chaos, and a Troubadour Soul)
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  Recensione del  21/05/2008
    

Forse a qualcuno il nome di Bill Toms ricorda qualcosa. Egli è stato infatti per quasi vent'anni il chitarrista solista degli Houserockers di Joe Grushecky, registrando con lui tutti i migliori dischi del rocker di Pittsburgh (città natale anche di Bill), e girando l'America (e non solo) in lungo e in largo.
Nel 1997 l'esordio con la sua band, intitolato Paradise Avenue, al quale hanno fatto seguito altri quattro pregevoli lavori, tutti ispirati ad un rock stradaiolo figlio di gente come Springsteen, Seger e Mellencamp (ma più di tutti, è il Boss la figura di maggior riferimento di Toms come d'altronde anche di Grushecky).
Spirits, Chaos, and a Troubadour Soul è il titolo del nuovo lavoro di Bill: un disco riuscito, da parte di un musicista di esperienza, che non si discosta dal sound dei suoi lavori precedenti. Puro heartland rock, dodici ballate talvolta elettriche, talvolta più acustiche, che denotano una maturità ormai acquisita da parte di un cantautore onesto e anche modesto.
Un disco vero quindi, forse un po' derivativo in alcuni punti, ma suonato con passione e sincerità, con un maggior ricorso alla ballata introspettiva rispetto al solito. Toms non è un allegrone, ma canta delle difficoltà della vita, dei piccoli problemi di tutti i giorni, di storie finite male, con piglio da autentico songwriter.
Il disco è prodotto da Tom Breinding, che è uno dei musicisti della sua band, composta da elementi sconosciuti ma validi. Together fa partire il disco con il tiro giusto: una uptempo ballad elettrica, con la slide di Bill a macinare riffs su riffs e la voce ben presente al centro del brano. There was a Time è una ballata elettro-acustica di chiaro stampo springsteeniano, ma comunque godibile e con un bel motivo di fondo; Fisherman's Blues è proprio il classico dei Waterboys: Toms mantiene intatta la melodia, la spoglia degli elementi irish (ma non più di tanto), e la veste di roots.
E la canzone, già grande di suo, fa il resto. It's Saturday Night Somewhere riprende le tematiche della nota It's Five O'Clock Somewhere di Jimmy Buffett e Alan Jackson, ma, mentre la hit di Jimmy e Alan era un'esplosione di allegria, qui siamo in territori decisamente più intimisti e malinconici, e molto meno ottimistici. No Way Out ha una strumentazione e melodia di stampo tradizionale (ma il brano è di Bill), e gli intrecci di chitarre e violino sono vincenti; Such a Waste of Life sprizza ancora... malinconia da tutti i pori! Tell her I'm Home è ancora lenta, ma apre qualche spiraglio di luce (ricorda il boss tranquillo e familiare di brani come Secret Garden); (Give Me a Piece of) The Good Life, guidata da un pimpante violino è puro folk cantautorale.
Il disco non ha picchi stratosferici, ma nemmeno sbavature, e si lascia ascoltare con indubbio interesse: 4th of July (Dave Alvin non c'entra) è ancora lenta, acustica ed evocativa, City of Fear è meno incisiva, ma l'intensa e folkie You and I e la saltellante Revelation Shuffle chiudono il disco in maniera positiva. Bill Toms: a true American Troubadour.