Altro simpatico quartetto che arriva da Houston e anche se i
Deadend Cowboys sono bislacchi e irriverenti, portano da tempo in giro un suono ruspante che è figlio della loro passione per il Jack Daniels e delle tante contaminazioni che ruotano attorno al country. Così a bordo della loro sgargiante purezza alcolica percorrono felici le strade vicino San Antonio, passando per la capitale Austin fino ad arrivare a costeggiare la riva della contea di Galveston tra bucolici country macchiati di rock e tanta allegria (e loro che son cresciuti in California, nel Texas roots hanno trovato una casa accogliente dove poter rimembrare le gioie passate).
L’anima dei fuorilegge percorre
King of the Lost Highways in lungo e in largo da
Castles in the Sound che apre il disco tra bakesfield sound e chitarre allegre, Ryan Blue Miller & soci fanno di tutto per farti trascorrere una mezz’ora spensierata, infatti la rootsata hillbilly di
Fine For Sure mette di buon umore. La title-track ci presenta l’altra faccia dei
Deadend Cowboys: chitarre elettriche in prima linea, riff che prendono spazio e suono più incisivo per rockacci miscelati al country davvero suggestivi, ascoltate la splendida
Train of Thought che quando si infiamma diventa irresistibile. Rock-country-ballad deliziose come
Dead Flowers dove la melodia prende piede, ballatone strappacuori che si surriscaldano,
Songs of Heartache, e country che sembrano provenire da vecchi vinili,
Dead in my Mind o da dalla tv che trasmette solo film western,
Shoot the Bitch.
A chiudere una schitarrata roots-country meravigliosa che porta il loro stesso nome dove rivedono il mito dei cowboy con felici intuizioni e un solo graffiante indovinato (il disco a dire il vero si conclude con
Concrete Jungle, ma il reggae-rock che si ascolta e talmente poco calzante con il resto che rischia di far traballare l’intera spligliatezza di
King of the Lost Cowboys. Quindi fermatevi alla traccia nove…)