LUCINDA WILLIAMS (Little Honey)
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  Recensione del  07/11/2008
    

Nono album per Lucinda Williams e anche se si distanzia dall’ultimo lavoro West riportando l’elettrico nelle sue belle canzoni, ritorna a quel periodo per ripescare oltre alla collaborazione in cabina regia del marito Tom Overby, un paio di canzoni rimaste fuori da quel disco (che poi a essere precisi risalgono ad altre sessioni, ovvero Circles and Xs datata 1985 e Well Well Well che arriva dal periodo di Sweet Old World Days del 1992).
Little Honey non può che far pensare alla carriera trentennale di questa grande cantautrice che ha costruito intorno alla sua voce bluesy delle ballate che hanno fatto epoca anche se le lacrime versate anni addietro sembrano lontane miglia e miglia (eccetto If Wishes Were Horses che richiama antichi dolori ma non la bellezza di quelle canzoni), Little Honey comunque è un album di indubbia qualità, lo spirito della songwriter resta immutato e acquisisce maggior forza per un suono più maschio che ben si delinea fin dall’apertura di un boogie-rock spigliato, un po’ troppo ripetitivo ma pieno di riff e dolci parole (“You’re drinking in a bar in Amsterdam/I’m thinking baby far out, be my man”), da Real Love si passa alla successiva Circles and Xs, ed è la Williams che preferisco. Solo la sua bella e malinconica voce che prende le redini del brano a costruire le basi di uno splendido country-blues, brano da incorniciare.
Il groove di Tears of Joy e Heaven Blues piacciono ma è The Knowing che trova nel blues la giusta alchimia e quella spinta necessaria per analizzare un presente con le difficoltà del passato, una canzone splendida che solo lei riesce a rendere così dannatamente bella e sensuale, e si capisce anche che la band è l’altro punto forte di Little Honey: da Chet Lyster alla chitarra e Butch Norton alla batteria, passando per le chitarre di Doug Pettibone e le voci di Matthew Sweet e Susanna Hoffs e le partecipazioni di artisti del calibro di Elvis Costello, Jim Lauderdale e Charlie Louvin completano la squadra. Dicevamo che l’integrità della scrittura resta il suo punto forte, la cupa Little Rock Star offre una disamina di ciò che può accadere a chi il talento lo spreca per cercare chissà cosa, ha nelle chitarre aggiunte il nuovo punto di forza, anche la seguente Honey Bee scuote ma non so fino a che punto ne guadagna la qualità (al precedente West mancavano questi squardi elettrici, ma il disco aveva una luce differente, un fascino particolare).
Le spruzzate country-soul risultano simpatiche ma niente più, Well Well Well, e alcune ballate non girano proprio nel verso giusto (If Wishes Were Horses), ma queste non intoccano ad esempio la malinconia di un duetto con Elvis Costello, due voci in piena simmetria tra di loro a rendere Jailhouse Tears magica e sensuale, e ci aggiungiamo gli otto minuti di Rarity e l’amore che scuote la dolcezza di Plan to Marry. E la Lucinda Williams che si fa amare, non certo quella di It’s A Long Way To The Top degli AC/DC!!! (Lasciamo stare gli AC/DC per favore…)