Ho avuto la fortuna di vedere questo documentario al cinema, ad Austin, un paio di anni fa durante il South by Southwest (la locandina del film è tutti i giorni vicino alla finestra a ricordarmelo). Sul grande schermo, con un audio eccellente, scorrevano le immagini di
Townes Van Zandt, della sua vita e della sua musica. Molti non lo hanno mai sentito nominare, non tutti conoscono quanto abbia influenzato una generazione di folk-singer anche lontano dal Texas (altro che Dylan…), molti dei quali nel corso di questo splendido
Be Here To Love Me si riferiscono a lui come il miglior songwriter che abbia mai avuto la storia americana. Ma ci son voluti Willie Nelson e Merle Haggard per portare alla popolarità
Pancho and Lefty mentre
If I Needed You è bastata perché le porte dell’Hall of Fame si spalancassero.
Ma in questi cento minuti la regista Margaret Brown se da una parte ci racconta l’uomo, il marito (affettuoso solo al telefono) e il padre, mette anche in evidenza la sua indole solitaria, quella malinconia struggente al tempo stesso tragica e meravigliosa come le sue canzoni, un enigma che nemmeno i propri familiari sanno spiegare tutt’oggi: nato nel 1944, sposato per tre volte anche con la bottiglia che lo ha portato alla distruzione e alla morte per attacco di cuore nel 1997 all’età di 52 anni,
Be Here to Love Me descrive questa serie di eventi nel minimo dettaglio attraverso interviste con Nelson, Steve Earle, il road manager, i figli, la Harris, Nanci Griffith, la sua vita da nomade attraverso i racconti di Guy Clark con i tratti più spensierati in netta contrapposizione al ricordo della famiglia che non può che raccontare una storia completamente diversa, di un padre che non esisteva in continua lotta con se stesso.
Il film si focalizza tra gli anni ’70 e ’80 quando Townes scomparì dalla scena musicale, non gliene fregava gran che di promuovere le sue canzoni, l’industria discografica era lontana anni luce dai suoi pensieri, tra le sue mani potevi trovare più facilmente un fucile o una chitarra, fino a scomparire improvvisamente per anni, vivendo quasi sempre ubriaco in un buco lontano dal mondo.
Ma Townes era un uomo intelligente e lo si capisce dal modo in cui risponde ad alcune domande dei tanti giornalisti, domande liquidate con frasi del genere ("
I would like to write a song that no one understands, including myself." ) chiuse da un dolce sorriso.
Il DVD
Il documentario si apre con Townes al telefono che racconta di aver scritto alcuni versi interessanti, impressi qua e la su qualche foglietto, si trattava della splendida At my Window e mentre li inizia a decantare la musica scorre come la macchina che si intravede dal volante che ci porta in giro nella campagna texana, fino a Joe Ely che apre i ricordi e da quel momento le immagini di repertorio ci portano nella sua terra, Houston alla fine degli anni 40: la regista inizia il suo viaggio tra foto e chicche che difficilmente troverete tramite internet o in altre pubblicazioni del genere.
Formato panoramico a dir poco superlativo, ottima tonalità dei colori puliti e brillanti con il Dolby Digital a impreziosire le tracce audio, tanto da poterne apprezzare la purezza della voce nei tanti stralci, anche musicali, che inframezzano le interviste ad i suoi amici a ricordare insieme i tempi a bere sul portico, a giocare a carte, nello scrivere i testi, e come il grande Kris Kristofferson che ricorda che essere un songwriter vuol dire starsene 6 giorni su 7 per strada, a lui quella scelta però ha salvato la vita mentre Townes intervistato ad Amsterdam nel 1995, ricorda le stesse cose ma senza quella luce nel volto: niente amici, niente famiglia, niente di niente “…just a guitar and Go!”
La parte conclusiva che lo vede quasi scheletrico, vittima dell’alcol, è un pugno nello stomaco per tutti coloro che lo amano ancora e anticipa il giorno del funerale con l’interpretazione meravigliosa di Lyle Lovett con Flyin’ Shoes e con Guy Clark che in lacrime al microfono dice: “Ho prenotato questa esibizione circa trent’anni fa…” e gli applausi e le risate ci accompagnano ai titoli di coda. Ricca la sezione degli extra con tre performance dello stesso Van Zandt (Kathleen, Tecumseh Valley e Snowin’ on raton) e quella struggente di J.T. Van Zandt con Nothin’ e Colorado Girl di Savendra Banhart ed altre interessanti interviste.
Le canzoni. Il doppio cd
Splendide, Meravigliose. Cosa dire altrimenti quanto ascolti At My Window, Highway Kind, Be Here To Love Me che aprono il cuore, distolgono da ogni pensiero, e mentre ti lasci cullare da quelle parole la musica ti avvolge e mai vorresti che tutto ciò finisse lasciando entrare impietosamente la realtà. If I Needed You, Pancho and Lefty, Marie, Rexs Blues e Don’t Take It Too Bad, in versione live solo-acustica da brividi, la meravigliosa My Proud Mountains con doppia chitarra acustica e poi quella voce, piena di struggente malinconia, tra rimandi di confine e spazi aperti. No Placet to Fall, Rake che accompagna anche il promo del film e le immagini che si intravedono dal finestrino della sua macchina sono quelle che prima o poi capiterà di solcare e allora l’essenza delle sue canzoni acquisteranno ancora più valore e rimpianti.
L’anima blues di Brand New Companion, la solare Delta Momma Blues. Quel capolavoro di Flyin' Shoes, l’armonica e la chitarra acustica che anticipano il suono struggente del piano, che percorre anche la splendida High Low and In Between. Sarebbe da nominarle tutte!!!! Snake Song tra border e spirito indiano, When She Don’t Need Me e St. John the Gambler altri due capolavori…
Amo la musica di Townes Van Zandt. Senza di lui non avrei scoperto il Texas e tutto il resto.
Un cofanetto meraviglioso.