JASON BOLAND AND THE STRAGGLERS (Comal County Blue)
Discografia border=Pelle

        

  

  Recensione del  21/10/2008


    

Insieme da lunghi anni Jason Boland And The Stragglers, sono tra i paladini del country made in Texas, con violini e steel guitar ma sempre legati alla tradizione di Woody Guthrie e Merle Haggard anche se hanno trovato in quel Nashville la produzione del loro ultimo album Comal County Blue, un signor disco sulla stessa linea del precedente lavoro The Bourbon Legend. Nel nuovo disco Boland parla della vita, della politica, usa parole forti e ricorda le sue esperienze di vita, quella alcolica lasciata alle spalle ma che rigira spesso in questo disco.
La prima canzone dell’album Sons and Daughters of Dixie, è un country-rock di pura bellezza che quasi in sordina cattura grazie alla voce corposa di Jason e di un giro di chitarre quanto mai azzeccato, poi a ben vedere scorrendo tra il testo le parole di accusa verso lo stato americano sono evidenti come le loro responsabilità per i danni dell’Uragano Katrina. Jason ci tiene a segnalarne l’aspetto più preoccupante: “The one thing I can’t stomach/Is how the hill watched it bleed/You bet they’d sang a different tune if a flood had hit D.C.” concludendo il brano sulla determinazione e la forza di quelle persone e su quello che è stato l’impatto sulle loro vite. Si alleggeriscono i toni con il country salutare di Down Here on Earth, all’intensa Comal County Blue, la title-track, semplice e perfetta da ascoltare in macchina mentre si percorre la interstate in giro per il Texas, tra violini e atmosfere soffuse, Jason ci porta verso casa fino al nord di Austin visitando i luoghi che hanno contraddistinto le sue amicizie.
Il resto dell’album è un susseguirsi di deviazioni, tra alcohol e storie di amore sebbene il senso della strada è sempre forte e pieno di melodia, No Reason Being Late, con i suoi problemi con il bere, che sparpaglia nei testi quasi a combatterne il fascino demoniaco: “One more dance with the devil/Will surely seal my fate/I don’t know where I’m going/I see no reason in being late.” Bello l’uso del mandolino e bella canzone. Al capolavoro del disco, Bottle By My Bed, altra canzone che vede la bottiglia vuota del protagonista allo stesso livello della sua vita, una ballata cantata con trasporto che lascia allo stridere della slide la conclusione in un lungo solo da brividi. Gran canzone. Certo che dopo ben quattro anni di sobrietà bisogna far festa, allora chiama l’amico Robert Earl Keen in The Party’s Not Over, ed è festa con violini per del puro honky tonk, e i postumi della sbronza confluiscono in questi pochi versi “Tomorrow morning may hurt like hell/but it’s going to be worth it.
La migliore a tasso alcolico resta però God is Mad at Me, altro piccolo goiello elettro-acustico, niente artifici ma solo semplicità ed onestà con l’aiuto di Jackson Taylor (“Dio odio ciò che sono diventato, non posso respirare, non c’è nessuno che possa chiamare…”). Dall’altra le problematiche della vita di coppia nell’elettrica e brillante roots-country di If it Were Up to Me e nella dolce ballata May Not Be Love. Alright invece è una canzone registrata dai Cross Canadian Ragweed dovrebbe essere un ode alle donne ma non ne sono mica sicuro, nelle mani di Jason acquista comunque spessore, la splendida Something you don’t See Everyday, tratteggi western impreziosiscono un country ruspante ed elettrico davvero trascinante e No Reason being Late country nel classico Boland style.
A chiudere Outlaw Band di Bob Childers, un eroe per Jason che ama le sue canzoni e lo fa con professionalità coinvolgendo tutta la band da Brad Rice alla batteria a Grant Tracy al basso a Roger Ray alla chitarra, una gran rilettura per un brano meraviglioso. Comal County Blues è un altro tassello al percorso country di Jason Boland, la sua voce solida, una strumentazione ricca (violino, dobro, mandolino e banjo) e Lloyd Maines fanno il resto. Non resta che schiaffarlo nello stereo e lasciarlo lì a lungo.