ERIC TAYLOR (The Great Divide)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  23/01/2006
    

Grande chitarrista, un maestro, un saggio si potrebbe definire e chi ha familiarità con i texas songwriter potrà apprezzarne il suo puzzle di storie che gli amanti di Nanci Griffith e Lyle Lovett conoscono da tempo (Fat Babies tanto per citarne una, è roba sua). Eric Taylor è cresciuto ad Atlanta in Georgia, ha iniziato a suonare piuttosto in fretta, i suoi primi passi nella scrittura lo hanno portato a Washington e quando il fascino della California negli anni ’70 era così forte, Eric ha invece preso un’altra direzione accomodandosi nella sempre soleggiata, ma lontana Houston, dove l’ispirazione di Guy Clark, Townes Van Zandt, Robert Earl Keen hanno incrociato la musica di Eric Taylor.
Nel 1977 ha vinto il Kerrville Folk Festival come New Folk Songwriter, ma per trovare un seguito a Shameless Love, il suo primo album del 1981, si è dovuti aspettare ben 14 anni, ovvero il 1995 con il suo album omonimo. Nel 1996 eletto album dell’anno e dopo tre anni Resurrect lo ha consacrato definitivamente. Nel 2001 Scuffletown, un live nel 2003 e nell’estate del 2005 ha registrato questo suo quinto album, The Great Divide.
Una collezione di undici canzoni che mostrano le qualità di scrittura, del suo modo di raccontare le storie che studiano e osservano lo spirito della natura umana attraverso intriganti lavori alla chitarra (ma lo stuolo di musicisti al seguito è di tutto rispetto: Eric Demmer (sax), David Webb (tastiere, Hammond), Mathias Schneider (lap steel), James Gilmer (batteria), Vince Bell, Steven Fromholz e Susan Lindfors (ai cori). Fin dalla title-track si viene immersi nel suo dolce andare, incamminandoci in territori solcati solo dalla sua voce e da una strumentazione essenziale ma che lo innalza da un percorso anonimo, poi le storie che infarciscono The Great Divide sono l’altra faccia del suo fare musica, la successiva Big Love ad esempio, dove in prima persona Eric narra la storia di James Willis Hardin, un uomo di 200 chili di peso, tracciando un’analisi psicologica e fisica della sua enormità, la sua infelicità contrastata dalla vivacità del coro di Susan Lindfors.
Whorehouse Mirrors dove ogni verso offre una linea di veduta differente, sesso a pagamento, bische e gioco d’azzardo, alcohol e i suoi problemi, tra blues fumosi e notturni come Ain’t but one thing give a Man the Blues e l’intensa e splendida Manhattan Mandolin Blues, Eric Taylor costruisce ancora una volta un disco magnetico che si lascia ascoltare e poi aggiungiamoci un paio di ballate di un certo spessore, Just short of the Linen e Mickey Finn, intense storie di vite, chiudendo con Storms, era la title-track del disco di Nanci Griffith del lontano 1980 (canta di un uomo disperatamente solo nell’amore per la sua donna), Shoes e in modo particolare della meravigliosa Bonnie and Avery, la storia di un musicista e di una dance hall girl che tra mille problemi continuano nel loro viaggio d’amore, un itinerario che segue l’intero The Great Divide intorno alle qualità di un gran songwriter, Eric Taylor.