Chitarre distorte, voci strampalate e rock songs sono contenute in
Are All Gone Band. Da Amarillo, Tx con il poster dei Richmond Fontaine attaccato alle pareti di un garage di periferia,
Bo Salling & The Brakes raccontano che la vita è dura, che i genitori non sempre sono anime innocenti, quelli che stanno lontano dalle road-house, ma non troppo perché il rock che ne fuoriesce odora di whisky, di country e di buona compagnia, insomma è il caso di dargli un’ascolto ad
Are All Gone Band.
La combricola scapestrata è composta da Ryan Corpening alla lead guitar, John Lerma alla batteria, Cliff Schraag al basso e per ultimo Bo Salling che si diverte anche alla chitarra, hanno iniziato come trio, poi hanno capito che per le punte punk era necessario ampliare i ranghi, nel 2001 hanno dato alla luce il loro album d’esordio e per la seconda fatica le influenze di Hank Williams restano dove sono sempre state, ma i boots si muovono sempre con la stessa frenesia delle chitarre. Lo scampanellio e l’accordare la strumentazione dell’intro prepara alla briosa
Stuck in My Own Tracks, rock crepuscolare quasi in sordina accompagnato dalla voce di Bo che sembra annunciare la sfuriata dei Brakes ed invece lasciano spazio al suono di un’armonica roots e l’immersione nell’alternative country diventa evidente ancor più quando attaccano con
Goodnight Skelleytown, andamento tipico da paesaggio rurale, un dosaggio perfetto delle chitarre acustiche ed elettriche e il brano scorre con estremo piacere.
Poi sembra che qualcuno abbia inserito su un vecchio giradischi un lp di country old style ma poi riprendono
Skelleytown per aggiungervi una trentina di secondi per una sezione fiati. Un intermezzo strampalato se poi si pensa all’attacco ruvido di
Flies on the Screen Door. Ma son fatti così,
Bo Salling & The Brakes si divertono e noi con loro anche se a volte ti domandi che diavolo stanno suonando, prendete la ballata elettrica
Breaker che sa molto di pop band all’europea o
Tiny Beef dove ci si chiede se Bo canta con la voce da donna e l’asettica
Danf Feng-Shui, a parte queste disgressioni post-fumo il meglio è da ritrovarsi quando imbracciano le chitarre elettriche,
Oscar’s Shoes si muove pian pianino fino al post punk di
Sandie e
Duck Duck Chicken Fry, belle sfrenate.
Le parentesi alternative come
Something Special hanno una marcia in più, si mischia quel tocco country e il brano ne guadagna, una brillante escursione che continua in
Spitshine per chiudere con la malinconica
Outro Six Ways To Fall.