Sarà che conosce nel profondo il significato della parola country, lui nato nel Kentucky a Slaughters tra 200 anime ma da tempo di casa nelle roadhouse Texane (con tanta assiduità che è stato onorato della cittadinanza onoraria con tanto di celebrazione e governatore quando correva l’anno 2003), ma l’America rurale e la vita della gente che non fa mai notizia, che ha perso il lavoro o la propria terra, o addirittura entrambe, l’anima e il ricordo del periodo più buio del sogno americano, ovvero la grande depressione, ebbene tutto ciò continua a vivere nei testi e nella musica di questo grande songwriter,
Chris Knight.
Al sesto album in dieci anni, dopo un esordio folgorante e dischi di ottima fattura a cui ne ha aggiunto uno completamente acustico,
Trailing Tapes, ebbene rispolvera i fasti dei primi dischi e le parole di
Heart of Stone mai come questa volta diventano dure appunto come le pietre, l’essenza di Steve Earle, Mellencamp e Springsteen diventa dirompente nelle 12 storie che costellano un disco splendido, nessuna morale, nessuna gloria, solo chitarre fluide, rock secchi e belle canzoni. “
Pour my soul into my songs. Play 'em for the people all night long. Work hard for my money and I want it now. Don't make me have to tear your juke joint down” così si apre
Home sick Gypsy, un dirty roots-rock benedetto dalla sua voce, incisiva come sempre, con venature country come si amava suonare una volta con banjo e un insolito trombone.
Ma ecco che
Hell ain’t Half Full, solido rock a stelle e strisce, da la sferzata che si aspettava e dove le parole non trovano scuse ad ammettere la condanna per un padre che ha abbandonato la sua famiglia, quella stessa famiglia che ruota intorno alla meravigliosa title-track e ti vien da pensare che Knight ha fatto bene a tornare a lavorare con Dain Baird dei Georgia Satellites con cui ha prodotto Pretty Good Guy, The Jealous Kind e ha partecipato su ben 4 brani.
Heart of Stone la/lo risentirete tante volte… Una maturità non solo negli arrangiamenti ma anche all’uso di una strumentazione essenziale, un mosaico di suoni a cui aggiunge banjo, organo, occasionalmente i fiati e la viola che solca la seducente ballata
Dainville o il piano in lontanaza dell’elettrica
Almost There, ma Chris da il meglio quando torna a scuotere con la potente e brillante
Another Dollar, con le deliziose
Mary e
Miles to Memphis e la speranza che percorre lo splendido roots di
Something to Keep Me Going mentre
Crooked Road si eleva sopra a tutto il resto.
Il potere del destino si combatte prendendo il cuore di
Crooked Road e le emozioni emergono in modo prorompente con gli occhi rivolti ad un futuro incerto. La storia di un uomo e di sua moglie che cercano di prendere i pezzi rimasti delle loro non certo vite gloriose dopo la morte del proprio figlio in un incidente in miniera. Cercano la salvezza nella strada (“
Damn these hard times / Damn the coalmines / Damn the good dreams gone cold / And while I’m at it, damn this crooked road”). Chris la canta con trasporto, apre il cuore nel suo essere struggente e da sola vale il disco. A chiudere il dolore di
My old Cars e una ballata
Go on Home che solo lui, insieme a pochi altri, riesce a scrivere. “
Right now, this is my favorite record,” parole di Chris Knight che prendo in prestito. Un piccolo capolavoro.