Giovane e interessante band che arriva da Houston,
F.Co -nome particolare per un gruppo- ma questi ragazzi hanno uno spiccato senso dello humor che riversano soprattutto nelle loro canzoni (si va dai discorsi sui tatuaggi dal dermatologo, al ricordo di Elvis, ubriaconi texani, viaggi a Luckenback, la strada che non manca mai come i fiumi di birra che scorrono a far compagnia ai paesaggi solitari).
Da cinque anni in pieno circolo sulla scena musicale texana, ma con Nashville pronti a scritturarli (hanno tentato una volta, ma pretendevano che cambiassero nome in The Reign e tutto è andato a farsi friggere, ma sembra che siano pronti a mettersi in viaggio per strappare un contratto anche se dalla loro musica mantengono abissale distanza, tutto ciò non preclude di certo ad onerose entrate… sempre se riescono a star lontano dai guai). Insomma una combricola rumorosa ma che sa suonare quando decide di farlo e dopo l’interessante esordio
The King of Texas, pubblicano il loro secondo disco
Any Other Way registrato a Houston con una variegata strumentazione (banjo, hammond, violino, tromba) a supporto del vocalist Ryan Mucha, le chitarre di Thomas Watts e Cody Kouba.
Si attacca con il violino sfrenato di Rogers Cochran che in
We Can Hold Our Own, si ritaglia lo stesso spazio della chiassosa band e non sembra soffrire di sudditanza accanto alla vivace schitarrata di John Evans, on stage fa la sua bella figura e non potevano aprire il disco in modo migliore, ma le belle sorprese continuano con la successiva
Time of Your Life, roots splendido da risentire e risentire.
Beer Joint Gospel, la bella
Nobody Living Up To My Name,
Working Hard sono country suonati come i “Bastardi” amavano fare un po’ di tempo addietro, la deliziosa
Marooned In Modesto che aggiunge quei fiati tanto border, spira ovviamente anche aria honky-tonk come quella di
Song On An Empty Floor, salutare specialmente perché scorre via dolcemente e poi quel giro di chitarre lascia il segno, un paio di ballate,
Next to Neon piena di pathos, la title-track, dalla due facce, morbida e nervosa allo stesso tempo in linea con l’avvio di
Please Don't Send Me To Heaven che poi si apre in country-rock, quanto mai avvenente.
Clima festoso che scivola fino alla fine con un paio di gemme, dalla splendida
You Are Everything al roots coi fiocchi di
Drive, ma ci mettiamo pure le toste
2 20 On 2249 e
Somewhere Sometime per lasciare
Ann's Song a chiudere con struggente trasporto un gran bel disco.