CHARLIE SHAFTER BAND (Orange)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  18/02/2006
    

Dall’Illinois, ma prima che il popolo americano si accorgesse chi fossero, in Europa, nella “fredda” Germania (il clima artico nei due giorni nella bella Osnabruck per il concerto di Southside, chi se li scorda…), dove questa band ha iniziato a mietere i primi apprezzamenti e Charlie Shafter (voce e chitarra) è tornato a casa con le idee chiare e a Lubbock ha messo radici. Non commettono passi falsi cercando di impreziosire la loro musica con le influenze della vicina Oklahoma ne abbozzano fratellanze con il ruspante Texas, accenni pop, qualche sferzata rock e ballate, cantate con l’anima malinconica del blues e l’essenza folk soprattutto quando impugna la penna per scrivere le 11 canzoni di questo Orange un esordio interessante, dotato di un suono fresco e il resto della band, che annovera Joel Dreistadt alla batteria, Clayton Freeman al basso e per ultimo la chitarra di Adam Cline, si impegna a dovere.
Hello Austin saluta la capitale texana con lo spirito allegro e fiero che porta con se la voce di Charlie, un rock-blues magnetico, fa intravedere il lato più metropolitano con la rock ballad Ain't Done Yet ma Train Of Love ha una marcia in più, calma quasi piatta e improvvisi scatti nervosi, il microfono passa di mano mentre vieni catturato dal suono limpido e da riff contagiosi.
Una prova delle loro qualità, Said True elettrica, rock senza sfarzi ma godibile, l’aria è febbrile tanto quanto la chitarra di Dreistadt. Goodbye Marie è una ballata delicata, affascinante e notturna proprio come la donna che si aggira tra whisky, lacrime e riff malinconici dall’animo folk e la stessa atmosfera la si avverte quando il violino avvolge e accarezza la splendida The Ballad Of, Charlie fa sua la canzone (ricordandosene nella conclusiva The End, altra prova notevole). Non poteva mancare un bel giro nella terra solitaria, i mandolini e l’aria roots della spensierata Bel Air e la brillante If You See Me fanno capire che in Texas si trovano bene. Restano You Could Be, che sembra venire fuori da una cassa ammaccata di uno stereo abituato ad ascoltare blues e il rock semplice di Dust In The Water.