CODY HUGHES DAVIDSON BAND (Risky Game)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  15/08/2008
    

Ben acclamato dalla stampa locale (da Midland, Tx) Cody Hughes Davidson è una giovane promessa, anche se dalla voce (smoky-blues, come la etichettano dalle sue parti) sembra un cantante che naviga da tempo on-stage, un singer-songwriter che ha iniziato a farsi le osse sin dall’High School in una garage band suonando il basso con cover dei Weezer, poi ha trovato la chitarra acustica e la strada in solitaria nei coffee shop e piccoli bar, ma solo quando la vita lo ha messo davanti al suo valore e alla sua imprevedibile strada (la perdita di un amico durante il periodo al college) le sue canzoni hanno iniziato ad avere un senso non solo per lui ma anche per coloro che lo ascoltavano.
Così Cody si è ritrovato ad aprire gli show di Aaron Watson, Ryan James e Charlie Robison e racimolando nel frattempo attestati come miglior songwriter dell’anno nel 2007 a Stillwater ai Payne County Line Music Awards e anche in questo 2008 le riviste lo portano in palmo di mano quando si parla di storyteller dall’animo roots che non disdegna sconfinamenti in un sano rock. Prodotto da Keith Davis (che nel disco suona anche la chitarra), Risky Game è il percorso di Cody Hughes Davidson attraverso l’impronta di Stoney LaRue che si intravede sin dall’apertura di una nervosa e intensa Travelin Man che cattura l’attenzione e mostra il lato muscolare della band (alla lead guitar Chad Butler, alla batteria Darren Harris e infine il basso di Ray).
Don’t Lie è lenta ma tagliente, come lo stridere della chitarra (peccato solo per quel coro femminile…) e proprio quando il suo animo da cantautore prende pieno il disco decolla, splendido il giro in solitaria di Huntsville Death Row, voce e chitarra, atmosfera densa e carica di pathos specie quando nel finale il tambureggiare delle percussioni lo accompagna mentre il suono dell’organo prende piede e si snoda lungo la ballata seguente Just Let Me Know.
Ma Cody ha il rock nelle vene e i riff possenti della cupa title-track preannunciano interessanti sortite on stage, brano scritto durante i continui spostamenti lungo le strade per andare a suonare, il rimedio migliore quando ti stai per appisolare… Seconda parte del disco con l’americana che solca l’elettrica When it Rains, la morbida Last Call To Boston, altra prova delle qualità compositive del ragazzo, per confluire nell’incantevole All Chocked Up, stesse sensazioni, roots con quel pizzico di country quantomai perfetto. A chiudere una gran cover, Box number 10, di Jim Croce in una performance ancora acustica ma molto brillante e cantata col cuore, per congedarsi con le atmosfere western-bluegrass della solare Flamingo paradise. Un esordio coi fiocchi e un nome da tener d’occhio.