MIKE McCLURE BAND (Did7)
Discografia border=Pelle

        

  Recensione del  15/08/2008
    

Da quel lontano 2003, data in cui ha smentito tutte quelle persone che avevano condannato la sua scelta solista, Mike McClure ha scoperto un futuro che andava oltre ai Great Divide e si è costruito una carriera non solo come artista ma anche come produttore a supporto delle giovani promesse tra il Red Dirt sound e la Texas Music. Ma sorvolando su quest’ultima sua grande capacità, non ha poi trascurato molto la sua voglia di incidere dischi e lo dimostra ancor una volta, anche se le vette dello splendido Camelot Falling sono lontane ma migliore del pur onesto Foam, Did7 non deluderà i suoi fan. Con Mike si va sul sicuro, non lo si dice così per caso, lo si deve anche al gioco di squadra con Joe Hardy che una volta ricevuto la demo in quel di Houston, ha aggiunto batteria, basso e quella strumentazione ha dato un’anima a quello che sarebbe diventato Did7.
Mike le ha incise nel suo studio in Oklahoma con la sua band e in aggiunta qualche ospite illustre (da Mickey Raphael all’armonica di Willie Nelson a Jack Sundred dei Poco e il debutto della piccola Mayme, figlia di Mike di appena cinque anni). “I just want to feel something, yeah anything is alright, but we don’t have to do nothing ,just take me somewhere tonight”, parole semplici che solcano Stupid Hole, brano di aperture del disco, in punta di piedi una rock-ballad cantata a modo suo e anche se Streamlining alza il tiro, la band si presenta (Eric Hansen alla batteria, Tom Skinner al basso e John Fullbright alle tastiere) la melodia è il suo piatto forte e il brano ha il suo fascino.
Il padre di famiglia prende il sopravvento in Little Sister Sunshine, non è un segreto la malattia che ha colpito la sua figlia più grande (che per fortuna l’ha superata) per una delle canzoni più toccanti che abbia mai scritto: “Even when the sun is gone, my little sister’s sun shines on” con la piccola a canticchiarla sul finale, e a volte si capisce del perché il significato conta più del risultato. La piacevolezza di Another Place To Run, brano inciso tempo addietro restato fuori da Foam, e la dolce Believe fanno intravedere il Mike McClure più riflessivo, quello che predilige suoni elettro-acustici e quando salgono le note di Dance Like An Idiot, il suo lato più frivolo viene fuori e quel finale gospel di Hallelujah, con una sezione fiati festosa ne è la riprova.
Le chitarre red dirt anche se in solitaria si affacciano nella splendida Magnolia, altra ballata ma di grande qualità, brano che non smetteresti di ascoltare, nella bellezza del roots-rock asciutto di Take Me Somewhere Tonight e non poteva mancare qualche passaggio in terra texana, tra violini e anima agreste Mike ci accompagna lungo l’incantevole Supposed To Be per chiudere con la brillante rootsy Eagle And The Crow. Mike non delude mai…