Mike Mancy è cresciuto a Houston dividendosi con San Marcos per gli impegni universitari, lì ha iniziato a suonare la chitarra dando ritmo ai versi di canzoni scritte quando ero solo quindicenne. I suoi primi passi su un palco però li ha visti solo nella lontana Los Angeles ben 11 anni fa con tappa successiva in quel di Nashville, il tempo di incidere una demo dei suoi lavori per poi ritornare in Texas e stabilirsi definitivamente a Forth Worth, perché gli artisti che amava si chiamavano Steve Earle e Robert Earl Keen e il mondo patinato di Nashville non permetteva di dare libero sfogo alla sua musica che aveva poco da spartire con quella terra.
Nel 2002 il suo debutto prodotto da Chris Booher degli Asleep at the Wheel che usò parole profetiche nei suoi confronti:”
Mike is a genuine guy who works really hard, and loves what he does. I expect he will have a great future”. Questo
Uneven Ground è del 2004 ha avuto un buon riscontro dalle radio attraverso gli Stati Uniti e non ultimo il brano
Let it Roll è stato utilizzato per comporre la colonna sonora di The Ranch, un film indipendente diretto da Grady Moore. Una band ruvida alle spalle che oltre ad Royce Tompkins al basso, Kelly Test alla batteria, Coby Weir alla lead guitar ecco alla steel e violino Roger Ray e Noah Jefferies, entrambi direttamente dai Jason Boland & The Stragglers, ma le partecipazioni non finiscono certo qui, con l’armonica di Cody Braun dai Reckless Kelly e la voce di Stoney LaRue e Matt Skinner dalla Doug Moreland Band.
Una bella squadra non c’è che dire, quindi il risultato finale potete immaginarlo… Suono potente, energico, una vera country-rock’n’roll band made in Texas. 14 brani sono tanti ma Mike dosa le energie, sa come tenere viva la luce dell’interesse e il disco passando da brani più rock a punte malinconiche da story-teller, mostra una maturità e una sicurezza da veterano, i primi affondi chitarristici della rock-ballad
Lay It On The Line mischiano anima country e spirito ribelle red dirt per quasi sei minuti, un gran bell’inizio!! Così sulle desolate e pensierose
Lonely Road immerse nel cuore del Texas, i roots spigliati e canterini di
Window Pain è della title-track sono quello che ci vuole per tirarsi su, splendido biglietto da visita in direzione del Mexico,
Intro To Mexico stride e diventa cupa ma è solo l’apripista della chiassosa e divertente
North Of The Border.
Armonica e voce secca, la solare
Nothin To Do e la ballata roots
Let it Roll, due splendide canzoni, assestano la qualità del disco nei piani alti del gradimento.
Uneven Ground ha ancora qualcosa da dire alle battute finali, dall’isola acustica di
So Long (sono due, l’altra è la conclusiva e toccante
A little More of You), al lento incedere della roccata
Broken White Line, le luccicanti e sfarzose
Right Kind Of Wrong e
Wanted Man per finire con la propria terra nella benedetta
Runnin.