Padre di famiglia a tempo pieno, quattro figli che crescono nella ridente Greenville e che ascoltano da un paio di anni il padre destreggiarsi alla chitarra a cantare le sue di canzoni, scritte quando il fisico non gli permetteva grandi movimenti, bloccato dal caso ad una realtà dove solo la mente e la scrittura erano in grado di permettergli di creare una realtà parallela dove far vivere i propri pensieri.
La fortuna non era proprio sempre dietro l’angolo, ma gli amici più intimi hanno apprezzato l’autenticità di quelle parole e nel 2005 ha preso coraggio mettendole a disposizione di tutti e da Austin è arrivato subito un invito per un week end musicale, che deve essergli piaciuto parecchio se poi ha iniziato a girovagare per il paese in rotta verso Nashville per una serie di esperienze che poi sono confluite nel suo esordio
Blackland. Musica non commerciale, come lo stesso
Matt Koger ci tiene a ribadire, per un progetto che è iniziato insieme ai suoi amici e confluito nella produzione di John Kent che lo ha aiutato a tirar fuori il miglior suono possibile da accostare al suo songwriting: Americana con quella propensione alle atmosfere da story-teller toccando temi come la religione, la famiglia, la vita quotidiana e le storie di speculazione e sopruso che ci tocca vedere e subire nell’auspicio di uno spiraglio di giustizia.
Eccolo scandagliare le nostre primordiali tentazioni nella piacevole
Nature of the Beast che apre Blackland, per poi deliziarci con
Fort Worth Moon, roots brillante costruito intorno all’ultima notte di JFK.
Rebel Prayer suonata e cantata come se dovesse riprendersi da una sbornia è una ballata tranquilla, strumentazione ridotta all’osso ma Koger sa come illuminarla e darle spessore ma anche quando la band entra a supporto, il ragazzo si muove con disinvoltura con brani elettrici e
Betty's Last Stand,
Quicksilver (Judas' Song), la splendida
Matter of Pride tutte si dividono tra lo spiritoso e il serioso, ma accoglienti allo stesso tempo, tra scarpe, tradimenti, il venerdì del football e chitarre distorte in sottofondo. 14 brani, musica sincera per un’esordio interessante.
Restano ancora roots accattivanti come
Billy the Old Man, digressioni tra folk&country con
James e percorsi in solitaria che contraddistinguono la parte finale, da
Anyway,
I Love You, con il solo piano come compagnia nella toccante
Solitaire o con la figlia in
Ally's Song per chiudere in bellezza con la gagliarda
Before the Rain.