RECKLESS KELLY (Bulletproof)
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  Recensione del  10/07/2008
    

I Reckless Kelly hanno costruito col tempo, carriera decennale e 5 dischi da studio, un modello della Texas-Country music che ha trovato strada facile anche fuori i confini del Lone Star State: poca saccarina, country, chitarre roots e vibranti ballate affermandosi principalmente nel cuore della gente per la particolare atmosfera creata on stage. L'esordio con Millican, uno dei loro dischi più belli, fino allo spumeggiante Under the Table and Above The Sun hanno ricompensato la band dei fratelli Braun (Willy il singer/songwriter e Cody al fiddle e mandolino) di un meritato successo e anche quando la vena creativa degli ultimi dischi sembrava scemata le road house e i locali in giro per il Texas hanno sempre continuato a registrare il sold-out.
La loro identità torna a risplendere nel suono corposo e nelle liriche quanto mai attuali e arrabbiate di questo nuovo disco, Bulletproof (primo con la Yep Roc Records), dove la voce di Braun è quanto mai ispirata e il rock pungente che macinano sin dalle tracce iniziali porta con se il riscatto dei Reckless Kelly, nessuna titubanza, parecchie belle canzoni e finalmente i boots ritornano a fremere (e fino alla fine con la title-track e la trascinante Wandering Eye). Ma prendiamo il trittico con l’iniziale e vibrante Ragged as the Road, le chitarre infiammate di Love in Her Eyes, e l'"anti-guerra" della meravigliosa American Blood, da ognuna di queste canzoni si intravede la carica che sprigiona la sezione ritmica (Nazz alla batteria, la chitarra di Abayeta e il basso di Jim McFeeley con Lloyd Maines alla pedal steel) che affiancate alle liriche di Braun tra amore, senso di smarrimento e storie di strada, sicuramente diventeranno parte integrante dei loro show futuri.
La summenzionata American Blood ha un titolo sarcastico ma non c'e nulla di piacevole nei versi che raccontano di un giovane soldato che "dona" le sue gambe per la libertà degli "altri" e mai canzoni nel loro passato hanno covato tanta rabbia. Una canzone patriottica splendida e contro l'amministrazione Bush "He sits at home with his feet on his desk/While the boys got theirs in the sand" anche se potrebbe far intendere il contrario. Altra canzone di protesta è God Forsaken Town, scritta da Braun insieme a Robert Earl Keen acustica e introspettiva con una tromba a spezzare il pathos che sale nota dopo nota nel ricordo di quello che è accaduto a New Orleans con l'uragano Katrina che ha sconvolto la vita di molti dei suoi abitanti, bloccati e senza che nessuno li aiutasse, lontana dal veleno sputato fuori in American Blood ma non per questo meno arrabbiata e bella.
Ci sono naturalmente canzoni più leggere, dove si canticchia di ragazze che restano e di quelle che scompaiono (l’accogliente You Don't Have to Stay Forever o la tenerezza del violino che accompagna la ballata I Never Had a Chance) all'invulnerabilità dell'amore della spiritata A Guy Like Me ma ci sono anche la bella How was California, la deliziosa Mirage e la ballata Dont say Goodbye. Insomma i Reckless Kelly son tornati, l’avevo capito lo scorso marzo alla Luckenback Dance Hall, un gran concerto e la limpidezza di un brano splendido come Passin Through è ancora viva nei miei ricordi.