HAZZARD (Choices)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  10/07/2008
    

Hazzard e musica country: di primo acchito mi è sembrato una giusta associazione, il nome mi ha riportato alla memoria le gambe di Daisy e le avventure goffe di Rosco P. Coltrane e del suo cane Flash, emblema della staticità canina, più degli altri protagonisti del famoso telefilm, ma in realtà il nome è riconducibile al leader singer-songwriter Dana Hazzard che ha dovuto combattere con Matt Murphy e Jamie Dotson (bassista e batterista, nonchè anima vitale della band) per nominare la band solo con il suo cognome. Il "giovane" singer/songwriter quando insieme ai suoi colleghi ha iniziato a buttar giù sulla carta le prime canzoni di questo album di debutto Choices, era pronto a lasciare la sua Stillwater per trasferirsi ad Austin per poter meglio esaltare l'armonia country classica che poco si adattava alla musica red dirt con cui era cresciuto.
Il “ragazzo” che suona anche la chitarra e il violino ha trovato nell'amico Jason Boland (uno che di country se ne intende, anche se più texana) la spinta ideale per Choices, senza dover lasciare la propria terra per un mix di ballads, chitarre e tanto sano country e sprazzi da terre di confine. "If it wasn't for Jason Boland, I wouldn't be doing this. He told me to quit fiddling on the side and to start fronting my own songs" dice Dana che quando ha fatto ascoltare la demo a Lloyd Manes, si è sentito rispondere:"se proprio non posso produrlo, almeno fatemi suonare". Con la sua voce penetrante e Mark Lemond, chitarra acustica ed elettrica, Christian Dean al mandolino e Jamie Dotson alla batteria, Choices prende consistenza sin dall’iniziale Christmas in Huntsville, dall’impianto classico ma con la slide piuttosto libera che prende per mano la successiva At it again e non ci si discosta molto dal percorso campestre che gli Hazzard prediligono nella parte iniziale, violini spavaldi e sound a tratti elettrico dei giorni nostri.
Del country ruspante che non dispiace, If you were a bottle poi è una di quelle ballatone che lasciano il segno, splendida nel suo lento incedere tra slide, violini, piano e cantata con sentimento da Hazzard, certo non sempre sono del tutto originali, la stessa title-track o She dont ask questions, sono molto leggere, e vanno prese per quel che sono ma quando l’anima di Dwight Yoakam prende spazio allora da canzoni come Inside these Walls il disco prende consistenza: The bottle took the Man con il suo sapore western affascina sin dal primo ascolto, la band si fa notare e le chitarre stavolta si lasciano andare che una bellezza, brano delizioso come l’influenza messicana di una We had a time, molto border con una fisa sublime a suggellare un’atmosfera incantevole.
Sempre la fisa accompagna la malinconica Stillwater runs deep, bella ballatona country suonata con maestria per poi spezzare d’incanto l’idillio con la spiritata e pungente The man or the Taliban, dove le chitarre stridono come mai si erano fatte sentire e la loro scia è presente anche nella deliziosa Losin per chiudere con il roots spensierato di I dont Blame my Woman. Gli Hazzard passano l’esame non c’è che dire…