BRISON BURSEY BAND (Bigger Sky)
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  Recensione del  08/06/2008
    

Brison scrive canzoni dal periodo universitario, agli studi in letteratura e storia frapponeva l’ascolto del folk di Bob Dylan, il rock di Steve Earle e il blues di Ray Wylie Hubbard. Un sano e onesto lavoratore che una volta laureatosi ha trovato il tempo di formare lo scorso anno la Brison Bursey Band e Shy Blakeman, Brandon Rhyder, Stoney LaRue e Max Stalling hanno sostituito il calore della famiglia negli ultimi periodi in giro per le sconfinate cittadine del Lone Star State.
Un nuovo nome nel panorama texano quello della Brison Bursey Band che nasce in quel di Quanah dove ha mosso i primi passi e che serata dopo serata è riuscita costruirsi una discreta reputazione tanto che Brison è stato scelto per appartenere alla classifica dei migliori 4 singer/songwriter del Kerrville Folk Festival, cosa non da poco dato che da quel festival sono passati i migliori songwriter della scena roots texana. Brison e la sua band hanno ultimato il loro album di esordio Bigger Sky, ancora grezzo ma il talento del leader è cristallino e si rispecchia in alcune delle sue hard driving songs, belle melodie a contorno di testi convincenti per un esordio comunque interessante.
Prodotto dal singer/songwriter Keith Davis, di cui conosciamo il suo ultimo disco passato ultimamente su queste pagine, la band vede oltre a Brison alla chitarra e voce, John Mitchell alla lead guitar, Robert Morton al basso e Seth Novak alla batteria e sembrano molto più a loro agio con il rock sbarazzino alla texana come riprova l'ascolto della stridente chitarra che solca l’indiavolata I Ain't Alone, un ottimo biglietto da visita per la band, suono diretto e pochi fronzoli. Brison ha una voce forte e il brano è fluido e non ci impiega molto a catturare l’attenzione.
Chitarre che ritroviamo luccicare anche nella successiva Don't Go, un brano rock dall’impianto classico che si lascia ascoltare con una coda acustica che confluisce nella rock ballad Pourin' Rain. Il dolce roots-rock di Heartache mostra le armi migliori di Brison e soci, un viaggio nel cuore della sua terra dove il suono e la melodia crescono in spessore e bellezza anche se dall’altra alcuni brani potrebbero sembrare del tutto anonimi, Gypsy Girl e la stessa title-track, iniziano in sordina e sembrano fuori sincrono con i brani iniziali e solo una parte centrale le risolleva grazie al contributo delle chitarre che ricamano uno scenario decisamente più interessante.
Meglio senz’altro il rock lento e ammaliante di Down The Line, l’arcigna chitarra e la cupezza che si respira in Convict Hill, mentre a chiudere ci pensano la delicata rock ballad Troubles e l’acustica Out To Sea dove Brison fa capire che le qualità ci sono tutte per poter sperare in un bel salto di qualità in un prossimo futuro.