Ricordo ancora i volti e le espressioni colme di delusione di una cinquantina di fans attorno al piccolo banchetto spoglio e caracollante posto nei pressi del palco dove
Hayes Carll accovacciato firmava autografi. Proprio così, perché se c’era un’occasione di poter comprare in anteprima il nuovo fiammante disco del songwriter texano era proprio sul suolo texano lo scorso mese di Marzo, invece ti becchi un “
Sorry, just a couple of week… don’t worry”.
Eh sì, con in testa le sue canzoni rinunciai a spiegargli che a lì a un paio di giorni sarei tornato nella grigia Milano… Caspita, ma ne valeva proprio la pena? Certo che sì!!!
Trouble in Mind è un piccolo gioiello, un disco da incorniciare. Del talento di
Hayes Carll se ne è accorta la Lost Highway che lo ha voluto nella propria scuderia dopo quel
Little Rock del 2005, altro bel disco di americana, e la formula non cambia, il mix di ballate rock e acustiche tra luoghi e paesaggi che si spingono dal ruspante Texas fino all’Arkansas continua ancora e anche in bella compagnia, una lista di partecipazioni ricca che va da Darrell Scott a Will Kimbrough, Dan Baird e Al Perkins.
14 nuove canzoni tra vita vera, storie di uomini, lungo le strade che lo hanno portato dal portico in Conroe, piccola cittadina vicino Houston, fino alla Crystal Beach, Tx, degli ultimi periodi.
Drunken Poet’s Dream apre il disco alla maniera di R.W. Hubbard, con spirito sincero e irriverente, un roots magico come lo era
It's a shame che da
Flowers and Liquor ritorna sotto nuova veste, più elettrica, ma nulla cambia ascoltandone il risultato finale, perché l’incantevole leggiadria da quel lontano 2002 resta immutata. Le due faccie di
Hayes Carll si notano sin dall’inizio, dal banjo di
Girl downtown, una ballata alla John Prine, al corposo roots-rock della meravigliosa
Bad liver and a broken heart, uno di quei brani di cui ti innamori immediatamente, ma anche quando mischia il blues il risultato è sempre lodevole di citazione, la bella
I Hot a Gig, che va a spezzare il dolce andare di
Beaumont, uno di quei brani capaci di stregarti per un paio di minuti. Un pizzico di Rockabilly non guasta e
Faulkner Street scorre via disinvolta, mentre alla giocosa irriverenza di
Wild as a turkey o dell’honky tonk dylaniano di
A lover like you, che non possono non piacere, si contrappone il lato romantico e serio della ballata piena di pathos di
Don't let me fall.
Alla cover waitsiana di
I don’t wanna grow up (non me vorrà Hayes, non è che sia brutta, ma quella di Tom Waits è un capolavoro che non dovrebbe essere toccato…), ci pensa
Knockin' over whiskeys a far risplendere di nuovo la stella del cantante texano, una perla, una ballata grandiosa, per poi concludere con la struggente
Willing to Love Again dove Tom Waits stavolta lo porta nel cuore e
She left me for Jesus, un country-rock ruspante. Un piacere riascoltare i brani di
Trouble in Mind ma onestamente preferisco ricordare la versione live in quel pomeriggio soleggiato nella periferia di Austin, chissà perché…