LES POISSONS ROUGES (Nashvegas)
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  Recensione del  12/05/2008
    

I Les Poissons Rouges sono una band interessante che a contrario del nome che hanno scelto (potrebbe risultare ostico alla pronuncia, ma poi in realtà è ancora peggio…), regalano all’ascoltatore solo sette brani ma di quelli che allontanano velocemente qualsiasi dubbio sulle loro qualità. Nashvegas è uno disco valido, non è nemmeno recente, fine 2006, io l’ho scoperto solo per caso lo scorso marzo allo showcase della PaloDuro Records. Nashvegas è figlio di quella che può essere una semplice discussione nel cuore della notte sull’amore musicale che si condivide intorno a gruppi come The Band (anche lì può nascere lo scheletro di una band), ed arrivano esattamente da New Orleans o da quello che resta dopo il passaggio dell’uragano Katrina.
Infatti i due songwriter e amici d’infanzia Adam Campagna e Jon Harris, in quel periodo terribile si son dovuti trasferire in una fattoria nei pressi di Auburn, in Alabama e caso del destino è proprio in conseguenze a tutto ciò che hanno iniziato a scrivere canzoni. È stato il punto di inizio della loro storia, lo scrivere da una parte ha distolto dai loro pensieri le recenti sfortune ma dall’altra ha significato un punto di svolta per la loro carriera musicale. Sono arrivati il bassista Jason Deblanc e il batterista Jay Knorr, nativi di Auburn e tutti insieme sono ritornati in quel di Nashville con il desiderio di contribuire alla rinascita della scena musicale locale e a registrare questo disco intitolato Nashvegas, un album colmo di esperienze personali, tra amore, rabbia e speranza.
La musica di Nashvegas possiede le armi giuste per catturare l’attenzione, canzoni come la title-track e Road Where I Was Born, sono dei quadretti di americana e rock da autentici e rodati songwriter, con Neal Young che si palesa qua e là al piano o tra gli acuti chitarristici. Lo stesso piano, qui nervoso e ammaliante, che accompagna anche Oh Alabama che viaggia a braccetto tra rock e southern con echi anni ’70, che proseguono nella piacevole Just Another Love Song per concludere il trittico con una Long Since Dead davvero deliziosa.
Se non è abbastanza chiaro dove iniziano e finiscono le Vegas del titolo, la limpidezza degli spiriti stoniani e della the band sono ben evidenti, ma il suono di questi ragazzi suona fresco. La malinconia che traspare dalla vibrante e splendida rock-ballad Call Me, Baby e il candore della conclusiva Don’t Let Me Down, fanno sì che lì impressione che regala Nashvegas è quella di un disco brillante, che potrebbe testimoniare qualcosa di speciale nel prossimo futuro.