JACKIE GREENE (Giving Up the Ghost)
Discografia border=Pelle

     

  

  Recensione del  09/05/2008


    

Gran bel cd questo Giving Up the Ghost, un mix grandioso di rock, folk, blues e Americana. Il talento di Jackie Greene era ben chiaro fin dall’esordio di Gone Wonderin’, uno che intervistato dal Rolling Stones (che nel 2003 lo inserì tra i 10 miglior album) descriveva il disco come un percorso di crescita ben delineato e che amava seguire: “I’ve lived in cars, hotels, basements…slept on floors, couches, strange girl’s beds. I wrote lots of songs in those places. Some I’ll never remember, but that’s all part of it, I guess.”
I suoi dischi hanno cambiato pelle nel corso degli anni, ogni qual volta il ragazzo scopriva nuovi territory, dal country al blues al lato da puro folk-singer fino alla virata più marcatamente rock’n roll. Giving Up the Ghost, il suo quinto cd, ha un po’ tutti questi suoni, dal piano alle tante chitarre, al sax e tromba fino al violino e mandolino, passando tra canzoni profonde (Animal e Downhearted) a quelle rootsy (When you return e Uphill Mountain), allo spirito di Prayer for Spanish Harlem fino al rock di Follow You e Like a Ball & Chain.
Dicevamo una strumentazione ariosa che la mutevole Shaken, brano di apertura di Giving up the Ghost, evidenzia molto bene. Bella melodia, canzone limpida costruita sulla voce di Greene che cattura l’attenzione allo stesso modo dell’organo bluesy della seguente Animal, con picchi centrali lasciati al suono distorto delle chitarre che Greene accompagna con urletti di incitamento. Il disco cresce col passare dei minuti, le soffuse armonie che introducono la magnetica e jazzata ballata I Don't Live In a Dream preparano lo spazio per gli echi stoniani molto ’70 della splendida Like a Ball and Chain. Ma il giovane e talentuoso songwriter lo si apprezza specialmente quando ascolti canzoni come Uphill Mountain, all’armonica delicata inziale fa da contraltare il sax baritono di Steve Berlin, per un’altra perla di canzone.
Ecco allora spruzzate blues nella trascinante Don’t let the Devil take your Mind, dal ritmo contagioso, di quelli che ti catturano e ti si attaccano addosso specie quando la sezione fiati entra prepotente a spalleggiare un finale delizioso lasciato alle chitarre elettriche. Un disco maturo e canzoni come Prayer for Spanish Harlem e Downhearted aggiungono un tocco di colore, autunnali nel primo caso per una ballata aggraziata, e luminosi e accoglienti nel secondo caso, dove è il sax a dipingerne i contorni. La parte finale del disco regala altre perle, c’è spazio per il rock spavaldo di Follow You ma il mandolino e la fisa che solcano Another Love Gone Bad sono di quelle border e allora te ne innamori subito… gran canzone. A chiudere l’elettro-acustica When you Return e la mossa Ghost of Promised Lands. Giving up the Ghost è un signor disco, di quelli caldamente raccomandati.