So Do You tra l’heartland rock e il country era una ballatona che imperversava nelle rock-indie station americane alla fine del 2000, un brano tratto dal suo album di debutto omonimo dove il giovane songwriter newyorkese di nascita,
Mike Rosenthal, ma texano di adozione, stupiva tutti compreso i suoi colleghi di ufficio, reporter del Maine, abituati a vederlo sotto tutt’altra luce. Dopo il suo trasferimento definitivo in quel di Austin, la musica è diventata la sua vita e nel 2002 ha fatto seguito
Movin’ In, un album chitarristico e stradaiolo, arrangiamenti semplici e contagiosi perfetti anche stavolta per le radio-friendly statunitensi.
Quando sembrava lanciato a seguire la scia di talenti come Ryan Adams, è scomparso dalla circolazione. Dato oramai disperso, ricompare sulle scene musicali alla fine dello scorso anno, dopo ben cinque anni, con questo suo terzo cd,
Home. Il rock è scomparso, le sonorità pop prendono largo e forse sono quelle che cercava, con la chitarra acustica sempre in primo piano con le tastiere/piano di Chris Sater e il basso di bradley Oliver ad abbracciare la sua voce nel raccontare storie di cambiamenti e di ricerca dell’amore.
A sentire la stampa americana ad
Home associano una magia ritrovata ma di anni passati, canzoni e modo di cantare che accostano Mike Rosenthal ai vinili di James Taylor: potei essere d’accordo, ma il ricordo delle sfuriate di Movin’ In incidono parecchio sulle 10 nuove canzoni di
Home, che non sono affatto molliccie, ma delicate e anti-folk ed alcune davvero deliziose da ascoltare. Tra set elettro-acustici, malinconici quadretti autunnali, da
Rain alla pianistica
What i should do alla bella e conclusiva
You, a brani dove il pop alza il ritmo, da
Go Home una canzone che anche nei testi ha un certo spessore (“
I got what i wanted but i lost everything i had”), a
Next Train che ti cattura immediatamente all’iniziale
Funny o
Show down.
Un nuovo corso per
Mike Rosenthal, le sue qualità son sempre vive e
Home si ascolta comunque, peccato solo che abbia deciso di lasciare in soffitta le chitarre elettriche, quelle che solo in lontananza si intravvedono in
Cry o nel ritmo ballerino di
My Head.