Brendan McKinney è un singer/songwriter che è balzato alla cronaca con questo album di esordio
Right Where I Came In, un piccolo gioiello di americana e ballate pop-roots. Nato e cresciuto in quel di Philadelphia, è sempre stato un tipo stravagante difficilmente inscatolabile in confini musicali ben delineati, sempre in giro per nuove esperienze da far sue.
Le sue origini sono irlandesi, una famiglia immersa in un mondo stracolmo di parole musicali: suo padre è stato un giornalista/critico musicale di tutto rispetto per il Philadelphia Daily News, sua madre cantava in una band molto conosciuta in città, e capirete naturalmente che queste influenze si son fatte valere nelle formazione giovanile di Brendan, che alle collezioni di album rock dei suoi fratelli e sorelle ha preferito scegliere una strada meno battuta. Dopo parecchi anni in giro a perlustrare i pub e i locali Rhythm&Blues del nord degli Stati Uniti, nel Colorado era di casa, il songwriting di McKinney ha iniziato a prendere consistenza aiutato da una grintosa presenza scenica. Ha scoperto che i confini geografici gli erano fin troppo stretti, e al freddo dei paesi scandinavi e nel nord dell’Europa ha trovato il clima ideale per sviscerare quella mistura di roots e cantautorato urbano che colpisce l’ascoltatore nelle 11 tracce di Right Where I Came In: registrato a Bergen, Norvegia, insieme ai
99 Brown Dogs tra mandolini, armonica, violini e pianoforte.
Basta l’inizio spensierato di
It's a crying shame per immergersi nel clima festoso del disco, con quella fisa che sa tanto di confine, canzoni che ruotano attorno a temi attuali, di vita reale che trovano riscontro in
The Proven Ground, una gemma elettro-acustica, una ballata emozionante che ci invita a seguire la strada del cuore a cospetto della piatta abitudine di una vita sicura e senza sussulti –un dilemma che molti preferiscono lasciare a dovuta distanza. Un brano splendido. Attorno alla trascinante base roots, si intravvedono accenni pop in
No turning back e
Sweet ear candy, leggeri falsetti a circuire la voce calda ed espressiva di Brendan per
In Leave it up to me fino alla suggestiva sezione fiati che solca a tratti la bella
Julio & Bernadette per poi entrare di prepotenza nella trascinante
Sinking Down, una bomba di energia, arrangiata in modo sublime. L’armonica e il piano seguono Brendan nella scanzonata e piacevole
Fat Ass Girls, dove la cruda realtà combatte con la nebbia fitta che nel cervello ristagna ogni qual volta si cade “vittima” dell’innamoramento. “
Una storia presa dalla televisione, da un reality show.
Un esempio di come molte persone iniziano una relazione per poi scoprire che non erano fatti per restare insieme”. Momenti più intimi con
Pirates Gold ed
Hey Hey Jan Jan, dove mcKinney impugna l’armonica e la sua chitarra acustica costruendo storia bizzarre e malinconiche e dove la sua l’abilità vien ancora fuori fino alla conclusiva
Right where I came in, un viaggio a tratti malinconico nell’essenza della musica americana. Una canzone splendida, un disco delizioso, un disco da ascoltare.