AUSTIN COLLINS (Roses are Black)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  12/04/2008
    

Stessa casa discografica dei Macon Greyson e della The band of Heathens, la Fat Caddy records, stesso risultato. Roses are Black è un signor disco, di quelli che farai ruotare spesso nel lettore cd alle ore più disparate, ed il merito è tutto del talentuoso ragazzone texano Austin Collins e dei suoi Rainbirds.
Con alle spalle un’esordio coi fiocchi del 2005, quel Something Better che aveva dato una brusca accelerata ai propositi del non più giovanissimo songwriter, uno come lui che è capace di accostare ad una voce interessante una serie di smaliziate ballate di Americana suggestive e piacevoli, non può dar retta all’età. Quando mi son trovato tra le mani il suo nuovo disco (a dire il vero usato, ma in Texas i dischi usati si trovano prima dell’uscita ufficiale), non ci ho pensato poi molto prima di acquistarlo. Austin Collins imbraccia la chitarra elettrica e sposta il suo animo folky verso un rock arioso e a tratti ruvido, alla Son Volt.
Ma nelle 12 canzoni del nuovo album ci troviamo ballate di pura americana splendide Bridge Street Lullaby e Today, leggere reminiscenze ’70 con Broken, intro pianistici suggestivi per rock ballad niente affatto banali come per Out of Loud ma l’essenza del disco la si può dividere tra Unapology e Witching Hour: Collins canta l’amore da una parte, quello che si rifiuta di trovare facile scappatoie, un country alla Whiskeytown che è semplicemente perfetto, una canzone che ti vien voglia di riascoltare più volte e dall’altra si lascia trasportare dalla ruvidezza dei Rainbirds in quello che è il nuovo corso del cantautore nato a Houston: “If something is dark, it doesn’t mean it’s not beautiful”.
Tutto il resto si avvicina all’animo della deliziosa House Without Windows che risuona allo stesso modo, rock senza fronzoli, spruzzate ’70 a tratti nelle chitarre distorte come traspare da 8 Dollar Thrills o dalla bella Can't Say This at Home mentre una nota rilevante nel nuovo album è l’uso di un intro strumentale acustico o elettrico su cui Collins poggia la sua voce carismatica, l’apertura del disco con 11 months ne è un fervido esempio, americana, rock, chitarre e melodia che si incrociano perfettamente, ma anche nella tenebrosa ballata della title-track e nel piano che accompagna la conclusiva è suggestiva Goodbye Houston. Uno dei dischi del 2008.