La country music è ancora fiorente se penso al talentuoso
Justin Townes Earle, figlio di quello che è stato un grande singer-songwriter e parte integrante della dinastia dei country outlaws. Basta notare anche il nome che Steve ha dato al figlio, quello del suo eroe, Townes Van Zandt. Per fortuna Justin Townes è diverso dal padre, il suono non ha nulla a che fare con i suoi ultimo dischi, ha un’altro stile, un approccio diverso e il suo album di debutto per la Bloodshot Records,
the Good Life, sceglie la strada dritta della roots music esplorando la Hank Williams generation fino ad Hank III di Straight to Hell. Una scelta azzeccata, non c’è che dire.
Il ragazzo ha talento, scrive le canzoni, suona la chitarra e l’armonica e poi canta davvero molto bene. Non imita nessuno dei nomi che si porta sulle spalle, tira dritto per il suo country puro e delizioso che delinea un po’ il percorso musicale con cui è cresciuto, dilatando quell’aspetto della musica roots che contraddistingue la sua famiglia, dandole un nuovo approccio. Basta notare anche la copertina del disco, quell’aria scanzonata, cappello e chitarra in posa alla Billy the Kid e sul palco (come mi è capitato ultimante di vederlo al SXSW) dimostra una padronanza della scena, da artista navigato, poi il capello impomatato suggella l’effetto scenico.
Quello che colpisce sono le sensazioni che traspaiono dalle sue canzoni, perché toccano il cuore, dalla compassione per le anime perdute dell’affascinante e aggraziata
Who Am I to Say alla splendida ballata
Lone Pine Hill che la segue a ruota ed esplora la tragicità della guerra civile. Il marchio di fabbrica di Justin lo si denota principalmente nel vigore di una serie di honky-tonk deliziosi che ti calano di colpo negli anni d’oro a cavallo tra i ‘50 e i ’60 (
Hard Livin,
The Good Life e
What do You Do When you’re Lonesome) al luminoso country-blues di
South Georgia Sugar Babe.
La parte finale di
The Good Life resta godibile e assai intrigante, dall’autunnale armonica springsteeniana che accompagna il piano della superba ballata
Turn Out My Lights al country di
Lonesome & You allo swing di
Ain’t Glad I’m Leavin per concludere con una riflessione sui periodi bui, della vita vera, di una vita dissoluta che è giusto lasciarsi alle spalle e che contraddistingue la sublime
Faraway in Another Town che chiude l’album. Insomma belle canzoni per un disco di debutto decisamente riuscito, se poi si pensa che alla fine dell’ascolto tutto ti viene in mente tranne quello che ruota attorno ai suoi illustri nomi, allora il ragazzo ha fatto centro.