MANDO SAENZ (Bucket)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  16/02/2008
    

Mi chiedevo dove fosse finito il messicano Mando Saenz, che una volta cresciuto in Texas a Corpus Christi e fatto sua la lezione di Townes Van Zandt e Guy Clark aveva sorpreso tutti con quel piccolo gioiello di Watertown, tra country, roots e canzone d’autore per una voce calda come la fisa di Guzman nelle retrovie. Da Houston ha intrapreso un lungo giro a diffondere la sua poesia tra bar e feste tra amici, ma ha continuato a scrivere. Le emozioni alla base della sua scrittura continuano a delineare i tratti salienti dei suoi nuovi testi ma ha solcato nuove terre, trovando casa a Nashville e lasciando spazio anche a contributi di colleghi come Will Kimbrough ed R.S. Field.
Le canzoni del nuovo Bucket sono ancora popolate dalla vita dei cosiddetti ‘losers’, quelli che vivono ancora di sogni e quelli che non trovano pace nella piatta abitudine della vita quotidiana ma lascia per strada una parte del Texas, si distanzia dal precedente almeno nel suo immaginario. Le canzoni sono certo più elettriche, hanno l’essenza della sua terra ma compaiono venature pop anche se le ballate elettro-acustiche sono sempre il suo marchio di fabbrica, pura bellezza. Un nuovo corso che dopotutto non si allontana poi così tanto dalla sua terra grazie anche ad uno stuolo di validi musicisti al seguito – da Kenny Vaughn, Richard Bennett, Tony Crow, Jason Lehning e Chris Carmichael – e per finire sotto la produzione di R.S. Field. In Bucket le chitarre e la batteria sono sempre presenti e sin dal brano d’apertura si avvertono subito le novità ma ci ricordano immediatamente cosa ci aveva colpiti in Watertown: la sua voce, il suo modo di cantare e il modo di scrivere.
Wrong Guy è una ballata elettrica dall’anima pop-country splendida dove descrive le difficoltà e i lati oscuri di una relazione: “And don’t call my name/Cause I’ll be right there with a bucket of hate”. Pocket of Red riflette l’opposto del brano precedente, chitarra elettrica ad aprirne le danze, sempre in primo piano, un solare pop-rock da una parte mentre la seguente Touch is All, è piena di riferimenti autobiografici, una canzone che ha tutto dalla sua, melodia e testi. Ruota intorno a ciò che può renderti felice o portarti a mille miglia da esso, a quelle sensazioni, sentimenti, che servono a smuoverti verso una nuova città o anche a startene tranquillamente seduto da qualche parte. L’importante è non fossilizzarsi su qualcosa per tanto tempo. E Mando Saenz aggiunge:“The title refers to how much it takes to stay with you and also bring you back”.
Pittsburgh, da sempre suonata negli show live finalmente trova un’incisione, bella rock song ma Seven Dollars toglie ogni dubbio se mai ci fossero sulle sue qualità: splendida, scritta sul naufragio a cui sembra andare incontro un giovane in un bar dopo aver perso quello che riteneva essere la sua forza. Una canzone rock dall’anima roots che ti avvolge e non ti molla per 4 minuti. Il disco si mantiene ad alti livelli con la ballata In the Back of your Mind, cantata in modo divino e con la spensieratezza elettrica della trascinante I Don’t Like It.
Voce e chitarra acustica aprono All Grown Up, ballata mista pop di puro fascino ma se Come out tonight può apparire un po’ monocorde, Candy Red ti penetra sotto pelle e la vorresti riascoltare ancora e ancora. Chiude Last Goodbye: piano in sottofondo, voce e pathos con la band a ricamarne la bellezza. In definitiva la linea che lo ha condotto dal Texas al Tennessee a modificare il fulcro vitale della sua musica, non è poi così lontana da Watertown. Le canzoni sono sempre e solo canzoni. Che tu le scriva in Texas o in Tennessee non conta di certo… se poi son belle come Seven Dollars.