Ve la ricordate la bella
Can’t Let Go scritta per Lucinda Williams e contenuta in quel capolavoro di Car Wheels on a Gravel Road? Da allora la critica incoronò
Randy Weeks come un nuovo talento, uno “smart songwriting” tra influenze pop ma che amava calpestare il terreno fertile della roots music. Chi non ha avuto modo di ascoltare la sua musica, nel suo ultimo lavoro
Sugarfinger, troverà il luogo ideale da dove iniziare a scoprire il suo talento: ariose e classiche canzoni con testi profondi e pieni di immaginazione che ben si adattano alla frequenze radio degli anni ’70, che suonano ancora attuali e costruite in modo impeccabile.
Sugarfinger è stato prodotto da Jamie Candiloro, conosciuto per il suo lavoro con i R.E.M. e con Ryan Adams, è un album piuttosto multiforme, testi che tra la profonda consistenza dell’essere si aprono verso luminose e dolci ballate piene di seduzione che trasformano l’ascolto in una piacevole parentesi contro il rumore quotidiano. Uno stile personale tessuto col tempo, dai primi passi in quel di Window, Minnesota dove esordiva alla batteria suonando country, assai diverso dai tempi della garage band chitarristiche di Los Angeles ma, come accennavo all’inizio, solo con
Can’t Let Go Randy Weeks ha preso confidenza con il suo songwriting portandolo al debutto con
Madeline, robusto cd di roots-rock seguito dall’auto-prodotto
Sold Out at the Cinema, sempre su buoni livelli ma con parecchi problemi di gestazione.
A distanza di due anni questo nuovo
Sugarfinger, una perfetta alchimia di rock, roots e pop per un altro album interessante e sincero (spiccano brani come
Change your mind e
I’d Rather Go Blind, ballate di puro fascino e pop-rock deliziosi). Con l’apporto di Tony Gilkyson alla chitarra e Mike Stinson alla batteria, il loro contributo si nota sin dal brano iniziale,
Looking for a good Time dove la voce di Weeks ben si amalgama ai cambi di ritmo tra ballata e acuti chitarristici.
Transistor Radio è stato il primo brano estratto da Sugarfinger per le radio in giro tra Texas e Upper Midwest, un bel pop-rock orecchiabile con influenze anni ’70.
Goin’ to Heaven,
Could’ve Had it All e
I’ll Take my Candy restano sulla stessa linea, la melodia e la voce di Weeks vanno a segno, per canzoni semplici e godibili. Non perde il piglio più scanzonato di anni addietro per pop-roots come
Fu Manchu, dove si canta della crescente l’insofferenza di una ragazza per la sua dolce metà… o come in
Sometimes I don’t Even… dove un armonica segue di pari passo la voce di Weeks in un dolce omaggio a New York City. Chiude degnamente
Sugarfinger,
If you don’t Take a Medicine altra ballata dove questa volta sono tromba e pianoforte a ritagliarsi il diritto della prima fila.