KEITH DAVIS (Answered Prayer)
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  Recensione del  16/01/2008
    

La suona con passione e talento la sua chitarra, una 1968 Telecaster, Keith Davis da San Angelo, Texas. Soprannominato Master guitarist perché ci mette l’anima di una locomotiva -tutta energia e potenza che ben lo descrivono-, non ci si deve sorprendere a capire come possa aver suonato in passato 200 date in un anno come membro della Brandon Rhyder Band dal 2001 (per poi continuare con Django Walker, Kevin Fowler, Larry Joe Taylor e tanti altri) senza allontanarsi poi tanto dagli studi all’università del North Texas. Originario di Grapevine si è poi trasferito in quel di Austin dove ha messo su famiglia e diventato padre di due bambini: ma in questo periodo turbolento ha comunque realizzato il suo primo album autoprodotto, Sideman Blues, nel febbraio del 2006, e seppur creandosi un nome nella cerchia degli estimatori della Texas Music -nominato tra i migliori album tra gli esordienti-, l’esordio risentiva comunque di questo passaggio di transizione: “
L’album è solo una lunga conversazione tra me e la mia famiglia”, dice Keith Davis, “in un tempo in cui avevo delle scelte difficili davanti a me e non ero sicuro di dove mi avrebbero portato”. Questo suo secondo lavoro, Answered Prayer, è il frutto di quelle scelte e di come la sua vita sia cambiata, raggiungendo una maturità che ha poi riversato nella sua musica, ma ci sono ancora aspetti su cui lavorare. Realizzato nell’agosto dello scorso anno e prodotto da Mack Damon, Answered Prayer ha 11 tracce ben scritte e suonate insieme alla band, a cavallo tra roots-rock, americana qualche comparsata blues, ma sempre nello stile texano, rock frizzanti e non mancano i lati più intimi (e proprio sulle ballate che c’è da lavorare!), ma dopotutto questa è una sua caratteristica, quella di non soffermarsi su uno stile in particolare: “I like acoustic, the electric, blues, slide, jazz… I want to have it all and now that I have my own band and I can do it all”.
Il singolo estratto dall’album, Make it up to You, è il simbolo della sua musica, balzato nelle chart in poco tempo ha la carica del classico roots-rock macchiato di Texas che tanto ci piace, ma di canzoni belle ce ne sono: dalla seguente You can’t Take it with You, americana con chitarre ficcanti e voce calda e diretta, alla rock-ballad leggera, su cui dosa opportunamente scariche elettriche decise, If it where Up to Me. Just Let Me Drive, altra rock-ballad ma poi dopotutto siamo sempre in Texas… ecco allora le dirette Straight to Heart e Angel at Home, in palla anche Leave Tonight (l’unica volta in cui ha lasciato spazio alla chitarra per il contributo di Geoff Hill della Randy Rogers Band) ripresa dall’album precedente come Before there was.
Quest’ultima contraddistingue una parte finale sottotono, dove insieme alla title-track a Try you hand at the blues e Whatever gets you Through the Night, il sound cambia rotta verso Nashville. Peccato. Ma la stoffa c’è, un cd comunque da ascoltare aspettando il salto definitivo.