WILLY DEVILLE (Pistola)
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  Recensione del  15/01/2008
    

Il misterioso e scostante Willy DeVille è ancora tra noi, non ha ancora attaccato la chitarra al chiodo ma non è più nel salotto buono del rock, Pistola (si, in italiano) è un disco tenebroso, non è certo perfetto, ma ha dalla sua alcune canzoni di grande spessore, che bastano ed avanzano per continuare ad amare questo iconoclasta del rock. Willy DeVille ha inciso solo 15 album, antologie escluse, in trenta anni di carriera.
Questo sta a testificare le sue difficoltà a registrare, non per mancanza di ispirazione, ma proprio per i problemi che ha nel trovare case discografiche disposte ad appoggiarlo. Eppure Willy, figlio adottivo (musicalmente parlando) di Jack Nitzsche, legato a sonorità romantiche alla Spanish Harlem (la splendida canzone di Ben E King del 1961), contaminato dalle magie di New Orleans, è un musicista ancora in grado di fare musica. E Pistola a tratti lo conferma. C'è Louise, una straordinaria ballata di Paul Siebel (anche Leo Kottke ne ha fatto una grande versione) che il nostro rilegge in a country way, a tempo di valzer, piano liquido e steel fluida dietro alla voce.
Una versione splendida, che conferma la sua vena di interprete: e poi Louise è una delle grandi canzoni del passato che ben pochi conoscono. Il solo fatto di averla riportata alla luce è un merito inequivocabile. Willy sa dare il meglio quando va a pescare nelle cose meno note (vi ricordate di Come A Little Bit Closer sul disco precedente?). Solo questa, per me, varrebbe la spesa. Ma poi ce ne sono altre che ci fanno tornare ad amare questo autore la cui personale miscela di rock e cajun, soul e rhythm and blues, rock and roll e blues, unita ad una voce forte e profonda e ad arrangiamenti geniali, è sinonimo di grande personalità.
The Band Played On, tra messico e soul, con critos lontani, un suono caldo quasi orchestrale ed una voce solitaria che declama, che canta, che spiega. C'è un velo di malinconia, che si insinua nelle note. Una canzone struggente, che è la risposta di Willy alle devastazioni dell'uragano Katrina a New Orleans, dove lui ha vissuto molti anni. Una malinconia che scende profonda quando ascoltiamo le parole di The Mountains of Manhattan, ma che scema quando la chitarra apre So Sir Real, fresca e diretta, oppure When I Get Home, suggestiva e decisamente bella. Pistola è anche un disco di canzoni normali, troppo normali! (il funk blues di Been There Done That, molto New Orleans, oppure il lamento in chiave soul blues di You Got The World In Your Hands).
Ma che poi getta sul piatto I Remember the First Time, classica ballatona alla DeVille con tutti i classici elementi coinvolti: dal sapore latino ai ricordi degli anni cinquanta, con Goffin e King nella memoria, gli arrangiamenti di Spector nel cuore e canzoni come Save The Last Dance For Me e la già citata Spanish Harlem che fuoriescono qui e la. Un piccolo capolavoro di equilibrio melodico.
Il disco volge alla fine con la parlata (che voce!: There is a part somewhere maybe in New York, maybe in Berlin, maybe in Barcoelona...) The Stars That Speak dove, ancora una volta, confluiscono magia e passionalità.
Il riff è malinconico e coinvolgente, sembra fuoriuscito da una vecchia canzone degli anni sessanta, la voce grave di Willy ha più carica drammatica, ma quando entrano in gioco gli strumenti, chiudete gli occhi e mettetevi a sognare. Mr DeVille è ancora capace di farci vedere cieli azzurri e splendide vallate, anche se abitate in un posto grigio e pieno di smog. I'll Do Someting The Devil Never Did, dove voodoo e magia nera sono di casa, assieme ad una robusta dose di blues, chiude definitivamente il disco con la già citata The Mountains of Manhattan.
Dopo Crow Jane Alley, Willy è tornato a lavorare ancora con il produttore John Philip Shenale: sebbene sia una coppia affiatata, continuano a realizzare album altalenanti.