STEPHEN KELLOGG AND THE SIXERS (Glassjaw Boxer)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  18/12/2007
    

Hanno 5 album alle spalle ma anche se con l’ultimo omonimo lavoro sono approdati ad una major, non riescono ancora a ricucirsi nel mercato musicale un proprio spazio. Eppure il loro suono che ricorda band come i Counting Crows è solido e pieno di fervore chitarristico, una miscela ben dosata di alternative rock&pop (ascoltare la frizzante title-track o Why are you Talking to Me?) e ballate di spessore a cui la bella voce di Stehen Kellogg dona il giusto risalto (Father’s Day), insomma hanno tutti i requisiti per non passare inosservati non solo sulla scena di Boston.
Quest’ultimo Glassjaw Boxer è un lavoro più che valido, decisamente all’altezza dei recenti e passati Stephen Kellogg and the Sixers e Lucky Eleven: Kellogg nel pezzo centrale dell’album, Fourth of July una splendida rock-ballad, canta "Some guys get it all and they don't even need to try" una canzone decisamente autobiografica che colpisce per l’onestà delle liriche, ma tutto il resto di Glassjaw Boxer è imperniato delle difficoltà, da quel senso di schifo per tutto quello che ci circonda, ma dopoditutto non bisogna mollare per quello in cui si crede:“Alzarsi la mattina sapendo che prima o poi un colpo ti manderà al tappeto e più nobile di chi preferisce starsene semplicemte a terra da vigliacco”.
Kellogg questa rabbia la trascina quotidianamente on stage, e nella delicata bellezza di In Front of the World descrive questa difficile e strana situazione, questo feeling che poi si crea con il pubblico nel momento che le parole che nascono dal tuo cuore sono relegate in una semplice canzone. Le 11 tracce dell’album parlano di solitudine, disperazione, depressione e pensieri francamenti cupi ma, sebbene tutto, Kellogg lancia messaggi con elementi di sana speranza, canzoni che non sempre allo stesso livello ma non cadono nel dimenticatoio perché Kellogg vive ciò che scrive.
Non è il tipo di scendere a patti con le major per facili radio hit da vendere, i fan hanno abbandonato la sua musica e le radio lo hanno accusato di essere rimasto fermo agli anni ’90. Glassjaw Boxer è fatto di musica onesta e di belle canzoni: ascoltare l’opening track Sweeth Sophia e Big Easy, piccole gemme di rara bellezza che aprono e chiudono il cd o il pop/rock di Milwaukee e la malinconica Hearts in Pain. Un album sincero, un peccato ignorarlo perché Stephen Kellogg merita.