RYAN ADAMS (Follow The Lights)
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  Recensione del  17/12/2007
    

All'indomani di Easy Tiger se non è stato il suo lavoro migliore poco ci manca, Ryan Adams si riaffaccia sul mercato discografico con un progetto che, forse per la prima volta, non sembra ispirato dalla sua proverbiale incontinenza creativa.
Questo non perché Follow The Lights manchi di creatività e ispirazione, per carità: con il livello qualitativo cui il ragazzo ci ha abituato tramite le ultime proposte, un'eventualità simile appare a dir poco remota. Eppure, la bellezza di Follow The Lights, di nuovo sfolgorante, è una bellezza diversa rispetto a quella di Easy Tiger, non si tratta del l'ennesimo showcase del talento erratico e camaleontico dell'exleader dei Whiskeytown, bensì di uno sfogo, di una scarica di istinto, di un'appendice esaltante modellata su misura per i Cardinals, la band composta da Brad Pemberton (tamburi), Chris Feinstein (basso), Jon Graboff (pedalsteel), Neal Casal (chitarre) e Jamie Candiloro (tastiere) che accompagna Adams da qualche disco a questa parte.
Tanto Easy Tiger assomigliava al parto introverso e romantico di un cantautore, tanto Follow The Lights suona come un "band-record" fatto e finito dove le nuove canzoni e le riletture di brani già noti assommano tutte le singolarità di una formazione dotata di una conoscenza enciclopedica di rock e country, capace sì di assecondare al meglio l'estro disordinato di un solo autore ma refrattaria a scomparire nella varietà dei suoi mille proponimenti. Sicché Follow The Lights, trentuno e rotti minuti di musica inedita prodotti dallo stesso Candiloro, due canzoni nuove, una cover e quattro adattamenti di brani conosciuti altrove, diventa in quest'ottica un tributo alla padronanza strumentale dei Cardinals, una (grande) band in grado di seguire al meglio la direzione tracciata dal proprio leader e al tempo stesso fondamentale nell'aiutarlo a non disperdere le energie durante il percorso, come nel jazz degli anni d'oro (o come nei Grateful Dead, un pallino recente del nostro) talmente efficiente da riuscire a proporre infinite variazioni su di un unico tema senza mai perdere di vista coerenza roots, senso dell'improvvisazione e melodie memorabili.
Stavolta ci sono due novità dì delicata osservanza country-rock, la title-track e la successiva My Love For You Is Real, che omaggiano con candore e soffici ricami di steel il Neil Young pastorale eppure sofferto di After The Gold Rush (1970), una trascrizione degli Alice In Chains di Down In A Hole che trasforma la metallica disperazione grungy del prototipo (da sempre inteso quale confessione sulla spirale di tossicodipendenza all'epoca avviluppante lo scomparso Layne Staley, in realtà una dolorosa riflessione, scritta dal chitarrista Jerry Cantrell, sulle difficoltà attraversate durante la relazione con Courtney Clarke) in una visionaria ballata western a base di allucinazioni desertiche e corrosivi sprazzi alt.country e alcuni titoli rivisitati per l'occasione. Blue Hotel stava sul miracoloso Songbird ('06) di Willie Nelson, in cui l'intramontabile fuorilegge era accompagnato proprio dai Cardinals, e qui perde un pizzico di dolcezza rootsy per inseguire le movenze felpate di un lento à la Dead con tanto di psichedelica chiosa finale.
This Is It riconfigura i quattro accordi della canzone che apriva Rock N Roll ('03) in un trionfo dello stile dei Cardinals, che da un brano in origine piuttosto scontato distillano un capolavoro elettro-acustico tra country e rock; If I Am A Stranger sublima il rock ruvido e straccione di Cold Roses ('05), dove appariva, in una meravigliosa ballata acustica da rainy days, sospesa come un sussurro tra il tocco leggero degli strumenti a corda e l'incedere onirico delle percussioni; Dear John, infine, composta a quattro mani da Ryan Adams e Norah Jones in omaggio all'omonimo Lennon, mantiene l'identico struggimento pianistico dell'originale (tratto da Jacksonville City Nights [05]) ma vi aggiunge superbi ricami folkie che renderebbero orgoglioso un Michael Timmins in vena di malinconie tradizionaliste.
Follow The Lights lo trovate in vendita a un prezzo assai ragionevole (dovrebbe oscillare intorno ai dieci euro), e tuttavia, vi assicuro, vale una cifra anche dieci volte superiore. Dare un prezzo alle cose significa anche e soprattutto stabilirne il valore. In questo senso, le canzoni di Ryan Adams semplicemente non hanno prezzo, oppure ce l'hanno, ed è altissimo, perché quanto sta facendo questo ragazzo con il rock'n'roll e con la canzone d'autore ci lascia ogni volta senza fiato.