Mi è capitato diverse volte in Texas che per assistere a qualche concerto (ad esempio gente come i Cross Canadian Ragweed, Dwight Yoakam, Pat Green ed altri) mi son dovuto sorbire una tipica manifestazione del luogo: i rodeo. Il mio tono non è seccato ma più di 2 ore per uno show è davvero troppo anche se qualche distrazione è da benedire (mai viste così tante belle ragazze tutte in un colpo…) così avendo un po’ di tempo è facile che l’attenzione cada anche sui bull riders: giovani ragazzi che per varie decine di secondi se na stanno lì a cercare di convincere un toro infuriato che la compagnia dell’uomo non è poi così male. La cosa che mi colpiva però e che molti canticchiavano, e si sentivano chiaramente… beh,
Houston Marchman è stato uno di loro.
Cresciuto a Meridian aiutando il padre nel suo ranch, ha vissuto fin da piccolo la passione per i rodei e lo hanno visto partecipe in numerosi Wild West Show addirittura esportati fin nella terra del Sol Levante. La sua particolarità e che nel tempo libero scriveva canzoni, cercando di impremere in esse i ricordi della vita on the road e l’amore per la musica country tra vita vera e cuori spezzati. Nashville è stata per sei anni la sua terra, dove ha continuato a scrivere riuscendo ad incidere il suo primo cd,
Vietnashville, una raccolta di piccole storie di vita.
Dopo un lungo girovagare al confine tra Texas e Messico è ritornato a casa ed è stata la scelta azzeccata se si ascolta quelle perle di
Leavin' Dallas continuando con
Tryin' for Home e
Desperato Men tra gli anni 1999 fino al 2003, in cui il suo songwriting ha raggiunto livelli altissimi (Blue Cadillac del 2004 e un live dello scorso anno chiudono degnamente la discografia), ebbene il ragazzo è tornato in studio, con nuova linfa e voglia di suonare e questo nuovo album
Key to the Highwayè un classico esempio di country ibrido, che sposta il tiro sulla tradizionale country texas music lasciando da parte i profumi border e il marchio roots verso una interessante introspezione cantautorale, ballate che ricordano decisamente, dalle inflessioni della voce,
Lyle Lovett e non solo per il modo di cantarle ma anche per la melodia e i testi: così si può godere della bellezza di
Radio Flyer o ascoltando
Greasy Hand e
Straight to You non si può non pensare a Lovett.
Tra country vivaci di
Workin’ Girl quello che più colpisce di
Houston Marchman è la capacità di concentrare in una serie di ballate tutte le sue qualità di cantautore, con il violino e la chitarra acustica ben presenti in canzoni come
Custer,
Gone,
Ten Thousand Days. La sua calda voce rende godibile anche canzoni semplici che restano ben piantate nei confini di un country Texano (la title-track,
Amelia Earhart,
Too much Whiskey) e nella strascicata parentesi bluesata di
Gorilla Pit. Chiude
Pump Jack blues con Houston accompagnato solo dalle ficcanti note di una slide guitar, il resto è l’essenza di questo cantuatore.