Il fascino del brano
Big Country Sky, solcato da un magnetico dobro e dalle liriche: “
Just another sacred sky/Make you wanna grow wings and fly” mi ha fatto capire immediatamente che un nuovo talentuoso cantante si era creato un varco nella bolgia di artisti che nascono in quella splendida terra chiamata Texas. Precisamente si trattava del brano di apertura di
Dead Horses, suo terzo cd autoprodotto che seguiva altri due e introvabili lavori. Beh, chi ha perso quel piccolo gioiellino dello scorso anno non disperi perché questo nuovissimo
Mescalito edito dalla Lost Highway, riprende quasi interamente l’album precedente con l’aggiunta di nuove piccole gemme.
Nato musicalmente per caso, in quel di Stephenville, dove un paio di amici gli chiedono di suonare un paio di canzoni solo per loro: “
I went out and got my guitar and the owner said ‘you oughta come on in and play now and then.’ So I did. I started playing every Wednesday night and people started showing up to hear me play. It was pretty much an accident, I guess”. Bingham ha iniziato a suonare quando aveva 17 anni in una piccola comunità ai confini del Messico dopo che la madre gli comprò una chitarra: non la suonava un granchè ma se la portava sempre dietro.
Finquando ascoltò da dei tizi che vivevano di fianco casa sua, la Mariachi Music e ne restò affascinato. Così li conobbe e tra un bicchiere di whiskey li osservava suonare e “…
then he taught me some chords and he hooked me. I haven’t put it down since.” Questo quarto lavoro prodotto da Marc Ford, chitarrista dei Black Crowes, è un profondo viaggio nella musica border country, tra mariachi song e debiti del passato di una persona che ha vissuto da parecchie parti, conosciuto il dolore e la gioia ben rappresentate nelle 14 canzoni del disco: storie di vita, tra il bene e il male, folk texas songs alla Terry Allen e Joe Ely: “…
driving all night to ride a bull who’ll knock your teeth out on every jump, then sleeping in back of your truck in a dusty arena.”
Ryan Bingham si è aperto una strada nella scena musicale Texana con il suo roots country seguendo la tradizione di musicisti come Townes Van Zandt, il resto lo fanno le canzoni: apre la splendida
Southside of Heaven a ricordarci il West Texas: la melodia entra subito in circolo, le chitarre accompagnano la deliziosa armonica di Bingham e il capolavoro roots del disco è fatto; il cambio di ritmo del finale è una delizia.
Si prosegue con
The Other side che sprizza energia a 360° gradi e
Bread and Water, corrosivo bluesy/roots davvero trascinante. Poi Bingham tira i remi in barca e ci delizia con una struggente e acustica,
Don’t wait for me, ma è la caratteristica di questo giovane cantautore, capace di amalgamare mandolini, chitarre acustiche ed elettriche in un modo che lascia spiazzati per cotanta bellezza: infatti eccoli lì in una breve escursione in Mexico in perfetto stile mariachi con
Barochos Station, meravigliosa mexican song.
Così avanti da
Sunshine, virata roots/southern a la bella
Ghost of Travelin’ Jones, dotata di un fascino particolare, di quelle canzoni che ti impediscono di star fermi, a
Dollar a day spedita texas song fino ad
Hard Times e
Take it Easy Mamache si avventurano in sentieri rock di stampo classico. Nella parte finale del cd Bingham imbraccia la chitarra acustica per alcune deliziose acustic songs da
Long way from Georgia, tra “cowboy boots e guitar”, a
Ever Wonder Why e
Sunrise che è un’altra piccola gemma, una canzone di forte impatto emotivo.
A Chiudere
Mescalito ci pensa
For What it’s Worth che deve tutto il suo fascino alla interpretazione e alla voce di Bingham, poi, come ci annuncia un treno in lontananza, e ora di andare, e saluta tutti in una dolce ghost track. Un gran talento questo
Ryan Bingham. Tra i miei dischi dell’anno, senza pensarci un’attimo.