RAY DAVIES (Working Man's Cafè)
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  Recensione del  18/11/2007
    

Vivere in una rock'n'roll fantasy, eppure conoscere il mondo reale (o quello che ne resta) con una lucidità e una profondità più uniche che rare, è la contraddizione che Ray Davies affronta con Working Man's Café. Un punto di vista autobiografico che però, fin dagli accordi morriconiani che introducono Vietnam Cowboys, viene condiviso senza esitazioni, grazie ad un sound essenzialmente chitarristico, forse meno immediato di Other's Feoole Lives, ma anche più libero e più ricco di temi e di suggestioni.
Proprio a partire dal suono del disco, Ray Davies sembra ricordare che se c'è uno strumento da associare alla working class o semplificando a tutti quelli che tirano avanti tra lo schifo per i potenti e per loro guerre, è proprio la chitarra che in Working Man's Café è protagonista assoluta. Le tastiere, solo organo e pianoforte, hanno il loro posto nelle ballate e i fiati di Morphine Song e di In A Moment hanno il dovere di spiegare che tra pop, rhythm and blues e canzone d'autore la distanza si può annullare. Nel resto, Ray Davies lascia libere le chitarre di interpretare tutti i paesaggi evocati dalle sue canzoni e così si spiegano la coda acidissima di The Voodoo Walk, nuovo capitolo delle sue disavventure noir o i serrati riff di No One Listen, un esercizio di stile che il re dei garage non poteva farsi mancare, se non altro per ricordarsi e per ricordarci chi è stato e chi è oggi.
Working Man's Café è l'apoteosi di un songwriting capace di unire una semplicità disarmante nel mettere insieme le canzoni (e il ruolo delle chitarre nel mantenere tutto diretto e solido non è relativo) ad una visione tra le più acute e intelligenti che la storia del rock'n'roll abbia mai avuto. Da un punto di vista dei temi gli snodi fondamentali di Working Man's Café sono due: tra Peace In Our Time e No One Listen e nel contrasto attorno a Imaginary Man e The Real World. Nel primo caso non è necessario essere dei filosofi per comprendere che Peace In Our Time (un attacco epico e una grande interpretazione di Ray Davies), una richiesta che approfondisce a suo modo l'idea di Give Peace A Chance di John Lennon, trova la sua soluzione, peraltro molto nitida, in No One Listen e introduce un primo scontro tra sogno e realtà, pace e guerra, vita e morte.
L'episodio successivo che porta verso il finale di Working Man's Café ha il compito di chiarire il dualismo, che è poi un tratto distintivo del songwriting di Ray Davies, tra una vita dentro l'immaginazione e il mondo così com'è. Tutto dentro un'idea di rock'n'roll che potrà sembrare datata finché si vuole, ma che suona alla grande così come i Kinks a loro tempo. Con qualcosa in più, forse, perché Working Man's Café contiene alcune delle migliori intepretazioni vocali in assoluto di Ray Davies.
Se in You'Re Asking Me, una canzone che sembra un concentrato di trent'anni dei Kinks, canta come se ne andasse della sua vita, dentro Hymn For A New Age, si lascia andare e grida in due strofe più di Johnny Rotten in tutta la sua storia e meglio degli young punks che avranno tantissimo da dire, ma anche molto da imparare da questo "imaginary man" e da un disco bello, ispirato, lucido e coerente come Working Man's Café.