Ecco un texano ruspante: l’immagine di quel cowboy-man nato nella fattorie delle sconfinate terre soleggiate del Lone Star State cresciuto tra mandrie di buoi a pane e country, si addice perfettamente a
Jarrod Birmingham. Non si atteggia a star, non cerca scorciatoie o riscuotere facili simpatie con la sua musica, lui è quello che è: “
I’m not trying to be the prettiest guy in country music; I’m just trying to be the most real.”. Il suo stile può essere avvicinato alla leggenda di Waylon Jennings, lontano da quel pop misto country che tanto piace e trova breccia nelle classifiche nashvelliane.
No Apologies, il suo secondo lavoro, che segue un delizioso esordio del 2005
Stages, ne è un’onesta testimonianza: schietto, diretto, country-rock solido e chitarristico. Basta ascoltare il brano di apertura
If you don’t like me. Certo la voce carismatica di Jarrod lo aiuta molto a dare vigore alle sue rutilanti country songs, ma si avverte subito dove si va a parare; anche con la scelta della cover, la splendida
Like my daddy did di quel bravissimo artista che di nome fa Pat Haney che manca dalle scene da un po’ di tempo. Accontentiamoci di riascoltarlo in questa riuscita cover ben cantata e suonata da Birmingham.
Si continua tra la spumeggiante e allegra
Where’d you go country music, che ben si allinea al suo personaggio e la ballata, davvero splendida,
Restless Kind, toccata da un dolce mandolino e dalla melodia ariosa perfetta per le highways polverose del Texas. La sua musica entra subito in giro, un ciclo continuo che ti culla piacevolmente e segnato dalle chitarre sempre decisamente affilate e ficcanti,
Burnin’ my candle, una delizia per le mie orecchie e inoltre da segnalare
Best I Can e
Rollin’ thunder, altri rock-country molto piacevoli e fluidi.
Di certo le ballate non mancano: da quelle strappacuori
Walk Away a quelle più piacevolmente roots,
Midnight Train, costruite sulla sua voce e dal gioco di chitarre acustiche che si concludono in un crescendo tra suggestivi e azzeccati cori e chitarre elettriche mai dome. Chiudono il disco la splendida
I don’t live in Dallas (I live in Texas), grande ballata country-roots che non ti molla e che ti trovi a cantare immediatamente e
Holdin’on, dove la tipica narrazione parlata di un cowboy lascia lo spazio ad un altro country arioso e rocckato. Una bella conferma per un bell’esempio di Texas country-rock music. Da non perdere.