MAX STALLING (Topaz City)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  19/10/2007
    

10 anni, 5 cd. Questa è la discografia di questo grande cantautore che proviene dal Texas, che dopo 5 anni dal suo ultimo lavoro One of the Ways torna in studio e con la produzione di R.S. Field (il suo passato annovera Todd Snider, Billy Joe Shaver, Allison Moorer, Webb Wilder e Hayes Carll) realizza Topaz City, che è un’altra dimostrazione di come il country incontra il songwriting di Stalling in maniera perfetta.
Per uno che non aveva mai imbracciato la chitarra fino all’High School in quel di Carrizo Springs e che una volta a Dallas dal 1991, si divertiva a scrivere canzoni senza aspettarsi chissacchè dal business della musica; beh, a sentirlo, ringraziamo la radio station KNON che gli ha cambiato la vita facendogli ascoltare Townes Van Zandt, Guy Clark, Lyle Lovett, grandi singer/songwriter che lo hanno spinto a suonare. Questo Topaz City è stato realizzato il 12 giugno del 2007, e segue tre precedenti e pregevoli album di studio (Comfort in the curves del 1997, Wide afternoon del 2000, One of the ways del 2002) e un cd dal vivo (Sell Out del 2006), un disco auto-prodotto per la Blind Nello Records.
Registrato ad Austin negli studi di Bruce Robison con nella band la partecipazione di Dale Clark e Jeff Howe, Max continua a delineare storie di un country-folk in puro stile cantautorale che proiettano la mente sulle highway texane, tra chitarre acustiche ed elettriche e dolci melodie. Si parte con la bella texas-country song If only the Good die young vivace e pulsante in cui fanno da contraltare anche dolci trombe in stile border mexican e chitarre sempre in primo piano.
Il gioco della chitarre, che contraddistingue la sua musica, dettano il ritmo cadenzato della bella voce di Max e lo si può apprezzare nella splendida Never need to fall in love again, dalla melodia e con un refrain che entra subito in circolo, nella altrettanto bella title-track altro esempio di come questo cantautore sappia scrivere grandi canzoni.
La band sembra più presente nel suo suono che negli esordi, una giusta evoluzione per un suono che vede aggiungersi batteria e fiddle a completare un country dai risvolti roots che lo rende ancora più interessante, Ping pong Pool o in puro texas-country style Loose at Both Ends, Lonely Days e Don’t Fall Alone, quest’ultima davvero trascinante. Un cantautore che si fa presto ad amare, Skyview Cabaret è un po’ il suo manifesto: chitarre acustiche che ricordano le terre di confine, la melodia, i testi e la sua voce danno l’essenza di come si vive in Texas, dove la vita va vissuta anche semplicemente standosene a guardare il cielo o nelle più elettriche e roots If it’s up to me e Goodnight never meant goodbye.
Chiude il disco la dolce ballata How blue can you go? e si arriva subito a pensare: “Spero solo di non dover aspettare altri 5 anni per ascoltare la sua musica”.