Travis Tritt è ormai un veterano. Il country-rocker georgiano giunge infatti al suo undicesimo album, antologie escluse, dopo una carriera che si avvicina sempre più ai vent'anni, e dopo diversi milioni di copie vendute, premi e riconoscimenti vari.
The Storm, dicevamo, è il titolo della sua ultima fatica, ed è l'ennesimo lavoro ben fatto, ben suonato e ben prodotto: Travis non è il tipo che fa dei brutti dischi, ma neppure dei capolavori, ma prodotti più che dignitosi di robusto country elettrico, pieno di atmosfere sudiste.
Ha una bella voce, piena e maschia, e la sua musica si è via via allontanata sempre di più dal classico honkytonk delle origini, assumendo connotati sempre più vicini al rock; certo, i suoi dischi sono anche pieni di ballate, ma questo è il tributo che uno come lui deve pagare all'industria di Nashville, in modo che i suoi lavori vengano passati anche nelle radio di settore. E poi, anche nei brani lenti, usa gli arrangiamenti giusti (come in questo disco), senza mai cadere dentro i fiumi di melassa tipici degli album di qualche suo collega. Se proprio vogliamo muovergli una critica, forse negli ultimi anni si è un po' "seduto", in quanto alcuni tra i suoi primi dischi,
TROUBLE e
Ten Feet Tali And Bulletproofsu tutti, avevano una grinta ben maggiore. Ma
The Storm tutto sommato ci accontenta (e temevamo il peggio, dato che tra gli autori dei brani ci sono Richard Marx e Diane Warren, ovvero due tra i più famosi hit writers americani, autori di molti successi commerciali che poco hanno da spartire con la nostra musica).
E poi, fatto non trascurabile, ad accompagnare Travis troviamo una vera superband, i cui nomi più roboanti sono Vinnie Colaiuta e Kenny "Hammer" Aronoff alla batteria, Greg Leisz al dobro e pedal steel, Charlie Daniels al violino, Michael Finnigan ed il grande Matt Rollings al piano, e, udite udite, Kenny Wayne Shepherd alla chitarra! L'album inizia col piede giusto con
You Never Take Me Dancing, potente gospel rock, niente affatto country, molto godibile, dal ritmo sostenuto e senza sorprese negative (dato che l'autore è Richard Marx). È anche il primo singolo: è lo stile tipico di Tritt, quello che ci ha fatto conoscere il personaggio.
(I Wanna) Feel Too Much è una buona ballad ariosa, che rimanda a enormi distese e praterie: diversa dai tipici prodotti made in Nashville.
E poi c'è Rollings che ricama da par suo in sottofondo.
Doesn't The Good Outweigh The Bad è un country-boogie tosto, perfetto per il vocione di Travis;
What If Love Hangs On è un'altra slow ballad romantica per cowboy tristi, arrangiata con gusto.
Rub Off On Me è un uptempo bluesato, tipicamente southern (anche qui il coro femminile aggiunge un chiaro sapore gospel);
Something Stronger Than Me è ancora lenta e ben eseguita (ancora Rollings in vetta), ma ha una melodia meno incisiva delle precedenti. La title track è un rock-blues vibrante, adatta per le esibizioni dal vivo;
I Don't Know How I Got By è un po' più FM delle altre, ma si lascia ascoltare grazie alla melodia sinuosa.
The Pressure Is On è una cover di un brano di Hank Williams II, uno a cui Tritt ha sempre mostrato di ispirarsi;
Should've Listened è ancora roccata, ed è proprio il tipo di musica che vorremmo sempre ascoltare da Travis.
La veloce e saltellante
High Time For Gettin' Down è la più country del lotto, grazie anche al riconoscibilissimo violino di Charlie Daniels;
Somehow, Somewhere, Someway, scritta da Shepherd, ha lo stesso Kenny Wayne come protagonista, intento a ricamare assoli blues dietro alla voce tonante di Tritt. Un binomio che funziona, peccato sia stato sfruttato appieno soltanto nel brano finale.
Travis Tritt è comunque un personaggio simpatico, non se la tira, fa la sua musica è non rompe le scatole a nessuno. E, in ogni caso, ci sa fare.