Strano destino quello di
Michael McDermott, eppure non così lontano da un certo clichè del rock'n'roll che spesso accompagna i songwriter di ogni latitudine: essere etichettato come un nuovo Springsteen (una volta si sarebbe detto un nuovo Dylan, ma la sostanza non cambia) porta con sé un carico di guai che neanche si riesce ad immaginare. Questo nonostante ci sia di mezzo un vero talento, capace di scrollarsi di dosso ogni paragone con la sola forza delle proprie canzoni. McDermott lo ha ampiamente dimostrato in questi anni, anche quando ha dovuto, giocoforza, saltare da un'etichetta all'altra, inventarsi una distribuzione indipendente, ritagliarsi il suo spazio, magari sfruttando i nuovi canali forniti da Internet.
Difficile dunque che
Noise from Words cambi le carte in tavola, anche se a questo giro può vantare una mirabolante introduzione di Stephen King, ormai un rock'n'roll fan assodato, che dalla copertina del nuovo lavoro lancia un declamatorio "
the greatest undiscovered rock & roll talent of the last 20 years". Che crediate o meno alla sincerità del famoso scrittore, peraltro disponibile ultimamente a tessere le lodi anche di Ryan Adams, c'è da pensare che ancora una volta Michael McDermott sia chiamato a dimostrare più di quello che è effettivamente in grado di garantire.
Noise from Words non possiede infatti la scorza dura dei precedenti
Last Chance Lounge o
Ashes, due dischi davvero troppo inosservati e meritevoli di attenzione, abbandonandosi piuttosto alle digressioni acustiche dell'autore, qui meno rocker di strada e più folksinger.
Il nuovo contratto internazionale con la One Little Indian dunque appare un'altra occasione sprecata: tolto di mezzo il roboante singolo
The American in Me, ballata dal passo più elettrico rispetto al resto,
Noise from Words mette l'accento soprattutto sulle liriche, mai così autobiografiche e scoperte nei sentimenti (la commovente
My Father's Son), lasciando parlare le chitarre acustiche, il pianoforte, persino dobro, pedal steel e mandolino, dentro una strumentazione dagli accenti più rurali (su tutte l'anima irish di
A Long Way from Heaven). I risultati non sono affatto disprezzabili, a partire da una
Mess of Things dal tono confessionale, seguita a ruota da
Tread Lightly, folk rock luminoso in cui la voce di McDermott, sempre colma di emozione, può distendere tutta la sua efficacia.
Nulla da eccepire insomma sulla cifra personale di queste ballate, ma qualcosa non funziona:
Noise from Words appare più come uno sfogo intimo, necessario per l'artista, un disco definito "a candid song cycle of addiction and redemption", ma assai più duro da digerire per l'ascoltatore. A lungo andare il romanticismo di
A Kind of Love Songs, All My Love, Broken, quel loro crogiolarsi nella malinconia, diventa un esercizio fine a se stesso.