LYLE LOVETT (It's Not Big It's Large)
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  Recensione del  19/10/2007
    

Lyle Lovett, dopo avere fatto due dischi di country cantautorale (Lyle Lovett e Pontiac), nel 1989 ha registrato il suo primo disco con la Large Band (Lyle Lovett and His Large Band). Proprio quel disco ha dato il via definitivo alla carriera di questo personaggio fuori da ogni schema: country singer, cantautore, jazzista, blues man, gospel singer. Lovett è questo ed altro ancora. Mischia i suoni con estrema facilità, riinventa Lester Young con un suono Western Swing, si cuce addosso il gospel e lo rievoca con musiche sue, oppure prende dei brani tradizionali e li rielabora a tal punto che sembrano canzoni scritte di suo pugno. Idiosincratico, originale, eclettico: Lovett non è un musicista etichettabile. C'è chi lo definisce country, ma non farebbe che sminuirlo: Lovett non ha etichette.
Per questo ha scelto la Large Band come suo gruppo, un ensemble di 17 elementi con tanto di fiati, voci di colore, piano, basso acustico, violino, cello, mandolino ed altro ancora. E questo nuovo album, il decimo della sua carriera (antologie escluse), è sicuramente uno dei più riusciti. Se Large Band divideva le canzoni country da quelle blues e Jazz, se il gospel è stato inserito nel seguente Joshua Judges Ruth, questo nuovo lavoro mischia molto bene tutti gli stili del nostro.
L'album si apre con la vibrante rilettura Tickle Toe di Lester Young, proprio il famoso jazzista compagno per anni della voce di Billie Holiday. Lovett rilegge il brano di Young con la big band e si avvicina alle orchestrazioni ritmate e fantasiose di Count Basie, ma con un tocco di (western) swing, tanto per non tradire le sue origini. I Will Rise Up/Ain't No More Cane mischia una composizione di Lyle (I Will Rise Up) con un noto tradizionale (Ain't No More Cane), brano che molti di voi ricorderanno nella versione di The Band (Ain't No More Cane on The Brazos) o dei Weavers.
Un brano gospel con largo uso di fiati e voci di colore, di grande presa. All Downhill è una country/swing song nello stile classico di Lovett: una Texan ballad discorsiva con la steel di Paul Franklin che dialoga con il piano di Matt Rollings (di recente ha prodotto e suonato in The Calling di Mary Chapin Carpenter) ed il violino di Stuart Duncan. Don't Cry a Tearsapre con un suono etereo a cui si mischiano gli arpeggi della chitarra acustica del protagonista: una canzone lenta e suggestiva che evidenzia la bravura degli strumentisti della Large Band. Lyle canta con voce trattenuta, mentre il violino ed il piano spargono lentamente note magiche. South Texas Girl, aperta e chiusa da un intervento vocale di Guy Clark, è una delle gemme dell'album. Un ballata lenta di chiaro stampo country che ha l'andamento di un valzer ed una struttura quasi epica.
Una canzone di straordinario spessore che entra subito in circuito e che chiede solo di essere ascoltata e riascoltata più volte. Il piano di Rollings gioca a rimpiattino con la voce espressiva del protagonista, mentre Duncan, Sam Bush (mandolino), Viktor Krauss (basso), Paul Franklin rendono la canzone indispensabile. Ci sono anche le harmony vocals di Jon Randall nel breve ritornello dal sapore quasi mexican (Saint Mother Maria, There's Nothing So Sweet, As The Undying Love Of A South Texas Girl). Una canzone di rara bellezza, una delle ragioni primarie per fare vostro questo disco. This Travelling Around riprende il tema malinconico di Don't Cry A Tears è una composizione limpida e diretta, molto piacevole e decisamente armonica, abbellita ancora dall'intervento di Randall.
Up In Indiana mischia intuizioni jazzy con un brano quasi bluegrass. Intro solo voce, batteria già presente (Russ Kunkel) e poi la band (ancora con Sam Bush) che parte in quarta. Non ci sono i fiati né le voci di colore, ma si respira ugualmente una atmosfera retro, influenzata da Bill Monroe e da certi arrangiamenti di quel periodo (Duncan protagonista al violino). La dolce The Alley Song è un'altra gemma di un disco ricco di grandi canzoni. Ha il tipico suono di una ballata di Lyle Lovett, con la voce espressiva in evidenza ed un accompagnamento fragile e ben costruito a renderle omaggio. Fine ed interiore, ma di sicuro effetto, con il Cello di John Hagen e la chitarra di Dean Parks in evidenza (oltre a piano di Rollings). Piano che apre la seguente No Big Deal con tocchi raffinati, bluesati e notturni. Un brano after hours, in cui atmosfere bluesy e musica rarefatta si mischiano ad arte.
Make It Happy ci riporta in ambito gospel, con la batteria subito protagonista. Lovett canta con passione, le voci di colore si affiancano alla sua (Arnold McCuller, Sweet Pea Atkinson, Lamont Van Hook e Josef Powell) mentre Matt Rollings veste il ruolo di protagonista. Poi c'è la nuova versione del traditional Ain't No More Cane, completamente diversa dalla precedente. E qui Lovett ci regala un capolavoro di classe e misura, eleganza ed intelligenza. La canzone è splendida e suggestiva e il nostro la rilegge in modo accorato ed evocativo, con il suono struggente del violino di Duncan che crea la melodia base, poi le voci all black e quella del nostro fanno il resto.
Un brano di grande forza espressiva che dà la misura della bravura del nostro. Chiude il disco (quasi un'ora) una versione acustica di Up In Indiana. Una ennesima ciliegina su una torta prelibata. Esiste anche una edizione De Luxe con un DVD. Ve la consiglio perché contiene versioni registrate in studio di Ain't No More Cane, All Donwhill, Don't Cry A Tear, Up in Indiana, The Alley Song e della stupenda South Texas Girl. Ma soprattutto perché ci permette di capire ancora meglio il disco. Infatti Lyle ed il suo regista vanno a curiosare in studio mentre la band ed i tecnici mettono a punto le canzoni.
Si ascoltano i discorsi di preparazione e si vedono alcune prove coi musicisti poi, ad un certo punto, la musica, calda e coinvolgente, ci assale e la canzone parte. Splendide in questo senso le parti dedicate a Ain't No More Cane, Up in Indiana (la più lunga, c'è anche con uno spezzone Live) ed il finale dedicato a South Texas Girl. Guardando il filmato si apprezzano ancora di più le melodie e la costruzione cristallina delle canzoni: oltre alle tre già citate meritano l'approfondimento The Alley Song e All Downhill. Tra i dischi dell'anno.