BRAD COLERICK (Lines in the Dirt)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  15/08/2007
    

Dopo quasi vent'anni passati nel sottobosco dei compositori di musica per le campagne pubblicitarie e le colonne sonore TV, Brad Colerick, lo scorso anno, è uscito allo scoperto e, dopo aver preso coscienza dei propri mezzi di autore ed interprete, ha realizzato quello che si può considerare il disco di debutto (in realtà due lavori sono segnalati a suo nome sul finire degli '80) che risponde al titolo di Cottonwood.
Il disco in questione, di pregevole fattura, gli ha dato quella consapevolezza di sé e gli ha permesso di lavorare in serenità per dare alle stampe, a breve intervallo di tempo, questo secondo lavoro costituito da nove brani propri ed un paio di cover interessanti. Per l'occasione si fa aiutare da musicisti di grande valore quali Herb Pedersen, Larry Klein, Suzy Bogguss, Lowen & Nawarro. Il territorio nel quale si muove il musicista originario del Nebraska, ma da tempo trasferitosi in California, è proprio la musica della West Coast con abbondanti inserti country più tradizionali di matrice quasi nashvilliana, i riferimenti a James Taylor, Jackson Browne e Dan Fogelberg sono piuttosto evidenti ma anche le sonorità care a Pure Prairie League, Hillman e Furay hanno la loro parte.
Come dicevo nove brani originali che hanno il potere di rendersi familiari ai primi ascolti senza per questo motivo essere smaccatamente commerciali, anzi inizio proprio segnalando due brani lenti di notevole presa che hanno il pathos delle canzoni che restano e mi riferisco alla title track Lines In The Dirt (intensa l'interpretazione vocale di Brad) e Juarez (una ballata davvero commovente sulla vicenda umana dei lavoratori messicani clandestini) in perfetto stile norteno come solo Joe Ely potrebbe scrivere. A segnalare la complessità di una scrittura mai banale concorrono anche il pezzo d'apertura We're Gonna Laugh un mid tempo country rock che piacerebbe al fratello Jackson di The Pretender, la nostalgica Remember Me permeata di mood anni '40 con una bella parte strumentale, Paperboy che con il suo crescendo e la melodia incisiva è quanto di più vicino al migliore James Taylor abbia ascoltato recentemente, epica.
Accennavo alle cover e un plauso non può non andare alla versione delicata e sincera del monumento di Johnny Cash e June Carter, vale a dire Ring Of Fire: la strumentazione delicata, il duetto aggraziato con l'ottima Suzy Bogguss ci restituiscono una versione forse meno drammatica ma ricca di sfumature pastello, bravi. My California è il brano di chiusura scritto da un uomo disincantato, che ha lasciato gran parte del sogno californiano di ragazzo proveniente dalle pianure del mid west per una visione della sua California, piuttosto diversa rispetto a quella sognata, carica di contraddizioni, ma, diciamo noi, una terra che comunque gli ha dato un posto al sole sotto il Golden Gate della musica. Complessivamente un bel disco, forse in qualche passaggio un po' "leccato" ma sincero, maturo e per questo merita tutta la nostra attenzione.