JASON ISBELL (Sirens of the Ditch)
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  Recensione del  09/09/2007
    

Un disco la cui gestazione durava da quattro anni, suddivisa in diverse session di registrazione, e che tuttavia oggi assume un significato particolare, alla luce della dipartita di Jason Isbell dai ranghi dei Drive by Truckers. Il chitarrista e autore di Greenville, Alabama, ha scelto di rompere definitivamente con la vecchia band per intraprendere, non senza incognite, una carriera solista. Assai probabile che lo spazio di manovra all'interno dei DBT fosse ristretto e schiacciato dalle presenze ingombranti dei fondatori Mike Cooley e Patterson Hood. Nonostante tutto l'entrata in gioco di Isbell a partire dalla pubblicazione di Decoration Day e proseguita per sei anni all'interno del gruppo aveva senz'altro completato il songbook della band sudista, portando in dono alcune delle migliori composizioni e rendendo gli ultimi tre lavori fra i loro più maturi e ambiziosi.
Da questa separazione non è ancora semplice trarre le conclusioni e capire chi abbia veramente perso la carta vincente, anche se la presenza del citato Hood, della bassista Shonna Tucker e del batterista Brad Morgan in studio con Isbell indicano un divorzio quanto meno senza strascichi. Jason Isbell insomma fa ancora affidamento sui vecchi amici per imbastire un esordio interlocutorio, aperto a più soluzioni, ma senza dubbio indicativo del suo potenziale talento. Sirens of the Ditch è la coda lunga dell'esperienza con i Drive by Truckers e nello stesso tempo un distacco alla ricerca di una voce più personale.
Alle fondamenta quegli elementi di southern rock, alternative country e tonalità soul che distinguevano le sue composizioni anche nel repertorio passato, oggi però confinate in un sound più pacato, meno aggressivo, soprattutto per l'assenza del fuoco di fila delle chitarre, qui nelle mani del solo protagonista. Il turbinare elettrico di Brand New Kind of Actress, il suo riff Stones-dipendente, getta un ponte con il passato, lasciando intuire un disco di fiammeggiante rock'n'roll. Nel prosieguo invece Sirens of the Ditch si imporrà per un'idea più personale, seppure non perfettamente centrata, del nuovo ruolo di Isbell.
Quest'ultimo resta indeciso se concedersi un'ultimo giro sulle strade sudiste (vedi la rocciosa Try, lo swamp di Down in a Hole con ospite Spooner Oldham all'organo e ancora la cavalcata rock di Shotgun Wedding) oppure scegliere definitivamente la via di un songwriting adulto, trasformandosi in un cantautore che cerca appigli nelle radici country blues della sua formazione giovanile. In attesa di una precisa scelta di campo, Sirens of the Ditch rimane una raccolta di canzoni di spessore, con alcuni barlumi di un futuro prossimo: accade in Chicago Promenade, Dress Blues e soprattutto in Hurricanes and Hand Granades, dove entra in circolo un pianoforte (Tommy Patterson) e i riflessi soul della voce di Isbell (da sempre il più dotato anche nei Drive By Truckers) possono dispiegarsi attraverso le sue storie di ordinaria quotidianità, introspezione e sogni spezzati.
Ancora più evidenti le cadenze da songwriter negli episodi acustici, forse la sorpresa più brillante di questo debutto: il dobro colora di roots e provincia In a Razor Town mentre The Devil is My Running Mate, oltre a possedere uno dei testi più intriganti del disco, si impone per la sua solitaria malinconia per piano e chitarra. Attendiamo presto altri segnali.