DOLLAR STORE (Money Music)
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  Recensione del  09/09/2007
    

Nati da una costola dei Waco Brothers, i roots rockers "socialisti" di Chicago guidati da Jon Langford, i Dollar Store cominciano a fare sul serio, tanto è vero che lasciata in soffitta la principale band di riferimento, tutti i singoli membri si sono dedicati ad altre interessanti attività musicali. Chi sembra avere portato a casa il bottino più sostanzioso è proprio Dan Schlabowske, nome impronunciabile per uno spirito rock tutt'altro che confuso. Nei Dollar Store, che avevano debuttato un paio di anni fa con un omonimo lavoro sempre su Bloodshot, si è portato appresso Alan Doughty al basso e Joe Camarillo alla batteria, entrambi già al servizio dei Waco Brothers ed oggi prosecutori di quel linguaggio a cavallo fra arcigno rock'n'roll provinciale e radici country.
In verità Money Music, copertina fra le più improponibili e orripilanti degli ultimi mesi, è un disco che mette dichiaratamente una barriera fra i Dollar Store e il solito movimento alternative country o Americana che dir si voglia, perché da queste parti batte un cuore elettrico e quasi punk, molto lontano dagli standard spesso più definiti ed acustici del genere. Partendo dal riff alla Chuck Berry della stessa title track posta in apertura il nuovo corso dei Dollar Store abbandona la pedal steel che un tempo fu di Jon Rauhouse e si concentra sulla coppia di chitarre dello stesso Schlabowske e di Tex Schmidt, ricordando l'ala più barricadera e oltranzista del roots rock americano, quella che dai Bottle Rockets passa attraverso Go To Blazes, Slobberbone e altri protagonisti di una breve rinascita del rock più rozzo e di derivazione Stones.
Nel caso dei Dollar Store non vanno infatti indagate particolari sottigliezze, piuttosto vale la pena lasciarsi trascinare da un sound elettrico pulsante che a volte rimanda direttamente alla stagione del primo rock delle radici, quello di Blasters, Knitters, True Believers (li ricordano molto in Scrap Truck e nello sferragliare di Star, un gran pezzo di bravura vagamente imparentato con il Paisley Underground), e sul versante più ruvido degli X (da sentire nel caso Wasting Away e Company Town). All'apparenza un po' monolitici e certamente poco propensi alla forma ballata, i Dollar Store riservano invece qualche cambio di rotta: ad esempio un'inaspettata intromissione di un organetto sixties (nella scanzonata Twisting in the Wind), una slide che profuma di southern roads (Hurricane Charley) e l'immancabile sparata country rock (In the Gravel Yard è figlia legittima dei vecchi Waco Brothers). Non sono educati ne tanto meno geniali, ma hanno un che di rivoluzionario di questi tempi: sanno scaldare le valvole del rock'n'roll secondo le regole del gioco.