Ecco un disco avvicinato con atteggiamento relativamente fiducioso. Del texano
Cory Morrow avevo apprezzato i precedenti
Nothing Left To Hide (2005) e
Outside The Lines ('02), begli esempi di appuntito cantautorato texano; soprattutto il secondo mi pareva viaggiasse su di un invidiabile equilibrio tra esplosioni elettriche, suggestioni di frontiera e raucedine country. Le premesse di
Ten Years erano ancora migliori: l'ottimo
Keith Gattis in cabina di regia, altri musicisti prelevati dal giro di Dwight Yoakam e quindi dello stesso Gattis a raffinare la tenuta strumentale del disco (sono infatti della partita la sei corde di Brad Rice e il dobro di Cisco De Luna), l'ex Georgia Satellites Rick Richards a pestare sui tamburi e le keys di Rami Jaffee dei Wallflowers altro non lasciavano presagire se non una succulenta scorpacciata di Texas-music virata in chiave rock. Be', devo dire che in
Ten Years gli scossoni rock non mancano davvero (anzi, rappresentano la porzione più ampia del disco), ma li avrei attesi in una declinazione un po' meno bolsa e scontata. Intendiamoci.
Dopo gli anni passati al fianco di Lloyd Maines, che Morrow voglia rinfrescare le proprie vecchie canzoni (i "dieci anni" sono quelli di carriera dell'artista) attraverso il trattamento produttivo di Gattis mi sta anche bene. Però, santo cielo, c'era proprio bisogno di rileggere una
Beat Of My Heart, che avrà sì e no quindici mesi di vita, o di trasformare
Always And Forever (qui declamata con le harmonies di Ashley Monroe) in una zuccherosa ballata "Nash-Trash" che forse persino George Jones troverebbe un po' troppo melensa? C'è da dire che persino i fans più devoti sospettano che Ten Years sia una mezza fregatura: in giro per la rete si leggono commenti a dir poco inviperiti.
Personalmente non ci andrei giù così duro. A parte lo scombinato gospel della classica
Big City Stripper, ripresa anche nella fulminea traccia fantasma (solo col frastuono delle bottiglie a sovrastare su tutto il resto), alcune riletture denotano discreta grinta e buon magnetismo. Mi riferisco alla rocciosa
Nothing Setter, dove la band gira davvero al massimo e non fa rimpiangere una rutilante vacanza texana degli Heartbreakers di Tom Petty, allo spettacolare hillbilly di una sbuffante
21 Days o al nervosismo tra honkytonk e unghiate bluesy di un'ottima
Preacher dedicata all'immaginario outlaw. Anche le due tracce nuove, l'iniziale
Spinning Around The Moon, col suo ruvido taglio western, e il delirante, luciferino rockabilly di
I Don't Want to Get Up mettono in mostra muscoli abbastanza robusti da far saltare per aria qualsiasi balera tra Austin e dintorni.
Eppure, ascoltato tutto d'un fiato,
Ten Years finisce per stancare, facendo rimpiangere in più di un'occasione la frugale asciuttezza dei brani originali. Talvolta, poi, dispiace che Cory Morrow non abbia chiesto qualche sforzo in più alle proprie corde vocali: non è un grande cantante (non lo è mai stato, del resto), ma qui i pezzi piuttosto che modularli li ringhia. In definitiva, se i dischi di gente come Jack Ingram o Pat Green rappresentano il vostro pane quotidiano, allora potete aggiungere Ten Years alla lista della spesa senza il timore di incorrere in grosse delusioni. Per quanto mi riguarda resta il fatto che il ragazzino che in Outside The Lines omaggiava con grande umiltà Doug Sahm, Waylon Jennings e i Grateful Dead era dotato di tutt'altro carisma.