MARTY STUART (Compadres - An Anthology of Duets)
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  Recensione del  18/10/2007
    

Nelle intenzioni, come giustamente esplicita anche il sottotitolo, Compadres dovrebbe essere una semplice antologia di duetti, la maggior parte già pubblicati e solamente un paio inediti. Tuttavia, concentrandosi su questa particolare formula artistica, può essere anche letta come la migliore testimonianza della preparazione e profondità musicale che guida da trent'anni la carriera di Marty Stuart. Tanto tempo è passato infatti da quando, ragazzo prodigio del nuovo country sudista, affiancò il leggendario Lester Flatt come mandolinista nella band di quest'ultimo: l'esecuzione di Rawhide, catturata dal vivo nel 1974, rende omaggio a quell'esperienza ed è forse il brano più singolare e datato di una raccolta in verità per nulla scontata, senza dubbio godibilissima nel rileggere le diverse anime dell'american music.
Perché quello di cui ci si accorge strada facendo è come Marty Stuart sia stato e sia tutt'oggi un fine cercatore, un tradizionalista con una cultura musicale sconfinata che lo ha portato con il passare degli anni a maturare, adattandosi tanto al rock'n'roll di Steve Earle (qui presente in un'accesa versione di Crying Waiting Hoping dal tributo a Buddy Holly) quanto alle nuove leve dell'old time music (una bizzarra I Can See for Miles degli Who con gli Old Crow Medicine Show). Basterebbero d'altronde come conferma di questo talento gli album incisi nei tempi più recenti, da Soul's Chapel a Badlands, tra i migliori della sua discografia, oppure, buon ultima, la splendida produzione del nuovo Porter Wagoner.
E in fondo non è una sorpresa, visto che Stuart ha sempre avuto un buon fiuto per andare a braccetto con veri e propri giganti della country music, a cominciare da Merle Haggard in Farmer's Blues (tratta da Country Music del 2002) e Johnny Cash nell'esplosivo twang sound di Doin' My Time (si trovava su This One's Gonna Hurt You, 1992), due indiscussi eroi per Marty Stuart.
Il quale però è sempre stato abbastanza eclettico per concedersi ad ogni sfaccettatura della tradizione: ecco dunque giustificate le presenze di B.B. King in Confessin' the Blues, degli Staples Singers in una riedizione dell'immortale The Weight (nonostante la versione degli stessi in The Last Waltz rimanga di una spanna superiore), di Mavis Staples nel luminoso country gospel di Move Along Train (dal citato Soul's Chapel del 2006), affiancati con leggerezza al bluegrass di Earl Scruggs (lo strumentale Mr. John Henry The Steel Driving Man) e Del McCoury (Let Us Travet, Travet On, da un tributo ai Louvin Brothers), quando non autentici mostri sacri della Nashville più classica come George Jones (in una scoppiettante One Woman Man di Johnny Horton) e Loretta Lynn, quest'ultima protagonista di una inedita strepitosa ballata spezzacuori dal titolo Will You Visit Me on Sunday a firma Dallas Frazier.
Compadres acquista dunque un significato più denso di quello che potrebbe avere in superficie: non è un greatest hits secondo le regole, e forse non è neppure il prodotto ideale con cui approcciare il lavoro di Stuart, ma esprime una parola finanche più esaustiva sulla sua anima di compositore e interprete.